Yehoshua: “Ferrara sarà il luogo in cui ambienterò la mia prossima novella”
di Mattia Vallieri
“Oggi ho visitato il Meis ed ho capito che è solo l’inizio di un progetto più grande ed è un museo importante perché è nazionale e si basa su una legge”. E ancora: “Dobbiamo chiederci se gli investimenti in musei ebraici siano un modo di riassumere il passato o un senso di rinnovamento. Nel mondo occidentale stanno nascendo musei ebraici ma chissà quando e se ci saranno anche nel mondo islamico dove vivevano tantissimi ebrei. Difficile pensare oggi di avere musei nel mondo musulmano ma c’è il rischio di perdere un retaggio importante, dimenticando cosa hanno rappresentato anche lì gli ebrei”.
È questo uno dei passaggi della lectio magistralis tenuta dallo scrittore Abraham Yehoshua durante la sua tappa alla Festa del libro ebraico a Ferrara. È proprio sulla città estense si concentra l’apertura del noto scrittore che ricorda di essere stato “in molti posti in Italia ma ho deciso di intrattenermi in città un giorno in più perché Ferrara sarà il luogo in cui ambienterò la mia prossima novella”; salvo poi, sui titoli di coda dell’incontro, affermare che “non ambienterò la mia novella a Ferrara se non inserirete una menzione di Israele sul racconto multimediale degli ebrei d’Italia”.
Ad introdurre la lectio magistralis sono stati i saluti delle autorità coordinate dalla direttrice del Meis Simonetta Della Seta. Così sul palco si sono succeduti il presidente del Meis Dario Disegni (“quest’anno è una vera festa con un museo finalmente aperto ed in pienissima attività”), il sindaco Tiziano Tagliani (“grandissimo onore per Ferrara ospitare questa serata, è una occasione di apertura ed accoglienza della cultura nel mondo”), l’assessore regionale alla cultura Massimo Mezzetti (“Yehoshua ci racconta il presente per progettare il futuro”), la direttrice generale del Mibact Paola Passarelli (“questa giornata ha un significato per l’intero contesto nazionale”), il presidente della comunità ebraica ferrarese Andrea Pesaro(“questa manifestazione rappresenta una iniezione di fiducia per la piccola comunità di Ferrara, da sempre una presenza collaborativa e produttiva”) e la presidente delle comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni (“nel libro ebraico c’è qualcosa di speciale perché oltre al rapporto con l’autore c’è anche quello con un popolo”).
La parola passa quindi allo scrittore che parte con tanti interrogativi sulla nascita dei musei ebraici nel mondo occidentale: “Forse questi musei vengono costruiti in Europa per contrastare l’ombra del conflitto medio orientale, magari perché non vogliono sentirsi coinvolti nel conflitto? O forse, in questa globalizzazione, vengono costruiti perché le comunità ebraiche vogliono tenere un proprio retaggio culturale anche in quello specifico paese? O perché gli ebrei europei di fronte alle problematiche di Israele e dei soldati che combattono i palestinesi vogliono dare una immagine più pacifica e prendere le distanze da quel mondo?”.
È lo stesso Yehoshua poi a sottolineare che “la definizione popolo del libro ci è stata data a noi e ai cristiani dai musulmani. Ebrei e cristiani sono accettati nel mondo islamico a differenza dei pagani: sono considerati inferiori ma non gli viene chiesta una conversione come ai pagani perché hanno un libro in cui si parla di Dio anche se, a loro parere, in modo non corretto”.
Secondo lo scrittore “gli ebrei hanno accettato volentieri di essere il popolo del libro, sono stati fieri di quel libro e di aver attirato l’attenzione per questo”. Ma non solo: “Il libro ci è stato dato prima del territorio e l’arrivo nella nostra terra è condizionata al fatto di credere nel libro. Tutti gli altri popoli hanno un territorio di riferimento e non ci sono italiani, francesi o tedeschi senza territorio. Per noi è diverso, ci è stato dato il libro grazie al quale abbiamo avuto una terra”.
“C’è un grande vantaggio ad avere al centro della propria identità il libro, soprattutto quando nella storia il popolo si è disperso: in quei casi il libro ci ha unito nella nostra cultura” dichiara ancora Yehoshua convinto inoltre che “non avere una terra ha fatto si che molti ebrei non tornassero, però non abbiamo avuto guerre di spada tra noi ma solo di penna ed inchiostro perché non c’era potere sul territorio”.
Il pensiero dello scrittore si articola: “Ci sono tuttavia degli svantaggi ed avere sempre studiato il libro, ci ha fatto perdere dei numeri sull’ebraismo. Il libro è stato un cimento ma gli ebrei facevano quello e non sapevano coltivare la terra, erano solo attaccati allo studio e non tutti potevano vivere di questo”. L’analisi si concentra quindi sul “diciannovesimo secolo, in cui sono nati i nazionalismi laici. Lì gli ebrei, che continuavano a studiare il libro donatogli molti anni fa hanno avuto un ruolo difficile. Alcuni, soprattutto scrittori padri del sionismo politico, hanno capito di essere sotto minaccia in una società laica se fossero rimasti solo legati alla loro spiritualità ed hanno avuto l’intuizione di dire agli ebrei di fare altro: è stato l’inizio di una storia nuova, una nuova corrente di pensiero che dava importanza anche al ruolo della terra”.
“In questo ribaltamento di valori molti scrittori ebrei europei hanno deciso di ridare importanza alla lingua ebrea ed alla terra; bisognava rimettere l’accento anche sulla vita perché cultura è anche fare le scarpe o lavorare la terra” prosegue Yehoshua sostenendo che “proprio qua è nato lo stato d’Israele” e concludendo che “la Shoah è stata la grande sconfitta del popolo del libro. Avevamo una vita spirituale e di studio che non ci ha permesso di uscire da quella situazione. Sono preoccupato oggi quando in Israele vedo migliaia di persone che studiano il libro, non fanno il servizio militare e sono completamente sconnesse dalla realtà”.