Cultura ebraica
IL CICLO DELLA VITA

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L’ebraismo assegna ad ogni momento della vita un connotato di sacralità. Le tappe che accompagnano, fin dalla nascita, l’esistenza di ogni creatura sono caratterizzate da specifici riti e costumi che ne esaltano il valore e contribuiscono al processo di sviluppo. 

La nascita

Secondo un midrash (una storia) del Talmud, la vita nel grembo materno è caratterizzata da una dimensione spirituale molto speciale. Si dice infatti che il feto, immerso nel liquido amniotico, sia il simbolo di una pre-esistenza significativa; abbia la capacità di scrutare l’intero universo e conosca tutta la Torah. Al momento della nascita, però, un angelo del cielo con una carezza sulle labbra gli fa dimenticare quanto appreso.

La vita diventa dunque un processo di crescita cognitiva e di formazione esperienziale che porta a riappropriarsi delle conoscenze note in origine.

Nell’ebraismo prevale il rapporto matrilineare, per cui è ritenuto ebreo chi nasce da una madre a sua volta ebrea, ma rimane aperta anche la via della conversione volontaria. L’ingresso nel patto di Abramo per i maschi è simboleggiato dalla circoncisione che, se le circostanze di salute lo permettono, avviene di norma all’ottavo giorno dalla nascita. La cerimonia avviene con il bambino e la famiglia alla presenza di parenti ed amici.

Il berit milah ossia la rimozione del prepuzio, è uno dei primi precetti descritti nella Genesi a cui si sottoposero Abramo e i suoi figli.

Anche la nascita di una bambina è celebrata con una cerimonia gioiosa nota come zeved ha-bat (il dono di una figliola), durante la quale la neonata viene accolta in famiglia con la benedizione riservata alla matriarca Rebecca.

Bar e bat mizvah

Le ragazze, al compimento dei 12 anni, ed i ragazzi, a 13, raggiungono la maggiore età religiosa.

Da quel momento si è ritenuti adulti e responsabili per la maggior parte dei doveri previsti dalla Torah. Si tratta di un momento significativo sottolineato presso tutte le comunità ebraiche con modalità e sfumature diverse. La cerimonia di ingresso nel “mondo dei grandi” è chiamata Bar mizvah e Bat mizvah (rispettivamente “figlio/figlia del precetto”).

In Italia è diffuso il termine “entrare (o passare) di minian”, perché si è ritenuti adatti a completare il numero minimo necessario per il pieno svolgimento delle preghiere pubbliche. Ci si prepara a questo momento con un percorso di formazione religiosa, a scuola o altrove, insieme ad un insegnante.

È solito che i ragazzi in corrispondenza con la settimana del loro compleanno partecipino in modo attivo alla funzione al tempio e che le ragazze, in un sabato scelto, recitino brevi formule e preghiere al tempio di fronte al pubblico convenuto – con cui si conferma la volontà consapevole di fare parte della comunità – e talvolta espongano una breve spiegazione del brano della Torah che si legge quella settimana. 

La formazione e l’approfondimento di temi ebraici non termina con il raggiungimento di questa tappa, ma accompagna ragazzi e ragazze per il prosieguo della vita.

Il matrimonio

Il matrimonio è considerato la cornice propizia e conveniente entro cui creare e sviluppare una famiglia ebraica, i cui presupposti sono rintracciabili in vari passi della Torah a partire dalla Genesi, il libro che attraverso le storie dei patriarchi offre uno spaccato simbolico del gruppo sociale nucleare che condivide costumi, regole e fondamenti religiosi.

Sebbene i riti assumano sfumature differenti a seconda delle comunità, dei luoghi e del tempo, alcuni elementi caratterizzano ovunque la cerimonia di nozze.

Essa è divisa infatti fra Kiddushin e Nissuin.

Kiddushin (santificazione) viene intesa come promessa e primo impegno reciproco che contempla la consegna dell’anello alla sposa e la formula “ecco tu sei consacrata a me con questo anello secondo la legge di Mosè e d’Israele”, pronunciata dallo sposo di fronte ai testimoni.

I Nissuin (matrimonio) includono l’inizio della coabitazione e il pieno espletamento dei diritti e dei doveri coniugali.

Originariamente diluite nel tempo, oggi queste due fasi si compiono una di seguito all’altra accompagnate da benedizioni agli sposi e di lode all’Eterno: due per la prima e ben sette per la seconda, dette in ebraico “Sheva berachot” (sette benedizioni). 

1. La Ketubbah, il contratto di matrimonio
1. La Ketubbah, il contratto di matrimonio

Lo sposo durante la cerimonia consegna alla sposa la Ketubbah, il contratto di matrimonio. Un testo scritto in parte in aramaico e in parte in ebraico, di origine antichissima, attraverso il quale si assume l’impegno di onorare, rispettare e provvedere al fabbisogno della moglie, oltre che a riconoscerle la restituzione della dote e il versamento di una somma in caso di divorzio. Questo documento, personalizzato con i dati degli sposi, a volte riccamente decorato, aveva lo scopo originario di proteggere la donna da soprusi e scelte arbitrarie del coniuge. Oggi, pur conservando forza di obbligazione, rappresenta il simbolo dell’amore e dell’armonia della famiglia che si costituisce.

I sette giorni che seguono il matrimonio sono contraddistinti da letizia e gioia. Si organizzano banchetti, visite ad amici e parenti, sempre accompagnati dalla recitazione di formule di auguri e benedizione per gli sposi.

L’ebraismo prevede la possibilità di divorzio. Quando la convivenza diviene gravosa, dopo una valutazione e un colloquio con una autorità religiosa che ha il dovere di verificare le possibilità di una ricomposizione, si procede con la cerimonia di scioglimento del matrimonio (ghet) durante il quale, di fronte ad un tribunale rabbinico, il marito consegna un documento nel quale libera la moglie da ogni vincolo. Per procedere all’atto di divorzio, seguendo la letteratura rabbinica, si deve acquisire il consenso di entrambe le parti. 

1. La Ketubbah, il contratto di matrimonio
1. La Ketubbah, il contratto di matrimonio

Morte

1. Cimitero ebraico di Ferrara - foto di Renaud Camus
1. Cimitero ebraico di Ferrara – foto di Renaud Camus

La morte, più che ogni altro momento, rende uguali tutte le creature. Pochi altri fenomeni dell’esistenza umana hanno trovato una definizione tanto estesa e sviluppata attraverso usi e osservanza di regole, presso ogni fede ed ogni cultura.

Nell’ebraismo, la Torah e la letteratura rabbinica sono la principale fonte di questo bagaglio di leggi e consuetudini.

Le regole del lutto ebraico si sviluppano su tre direttrici principali. Gli atti compiuti per dare onore a colui che lascia questo mondo, fra essi il lavaggio rituale e una degna sepoltura; le manifestazioni di dolore dei parenti più prossimi e le espressioni di cordoglio, vicinanza e consolazione per coloro che piangono i loro cari.

Il lutto più rigoroso è previsto per la perdita di sette tipologie di parenti stretti: i genitori, i figli, fratelli e sorelle e per il coniuge.

La morte di un congiunto crea una frattura che scardina gli equilibri e provoca uno sconquasso che investe tutta la famiglia. Un passo del Talmud lo paragona ad un mucchio di sassi: quando uno viene rimosso, tutti gli altri si muovono in modo disordinato fino a che non trovano un nuovo assetto (T.Y. Moed Qatan 3:7).

 

Per questo, il lutto è concepito nella tradizione ebraica anche come un percorso di resilienza che ripristina l’equilibrio.

Bisogna infatti rispettare delle pratiche particolari durante tre diversi periodi di tempo: la prima settimana di lutto, il primo mese e il primo anno.  Con il passare del tempo si allentano progressivamente i divieti.

Nei primi sette giorni dal trapasso ai congiunti è proibito svolgere la consueta attività lavorativa e sarebbe preferibile non uscire di casa se non per esigenze essenziali.  Nel primo mese si continuano ad avere delle limitazioni: non si possono indossare degli abiti stirati e gli uomini devono farsi crescere la barba.

Nel caso della perdita dei genitori, le manifestazioni di lutto terminano al completamento di un anno dalla morte, durante il quale ci si astiene dalla partecipazione a ogni evento che rechi gioia e in generale da situazioni caratterizzate da leggerezza.

Il lutto così scandito mira a ricreare con lentezza quel tessuto di rapporti che la morte ha lacerato in profondità

1. Cimitero ebraico di Ferrara - foto di Renaud Camus
1. Cimitero ebraico di Ferrara – foto di Renaud Camus
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“nei primi tre giorni la persona in lutto vede sé stessa come se avesse una lama appoggiata sulle spalle, dal terzo e per tutta la settimana come se la spada fosse lì all’angolo della stanza, da qui in poi come se fosse presente nel mercato dove cammina”

Rabbi Levi