La donna-leggenda dell’ebraismo ‘passa’ per Ferrara e rivive in un film

di Cecilia Gallotta

Dalla Spagna al Portogallo, da Londra ad Anversa, fino ad arrivare a Venezia e Ferrara, e infine a Costantinopoli, dove compì il primo passo verso la costruzione della terra di Israele. Sulla storia di Dona Gracia Mendes Nasi, o Beatriz De Luna, per citare uno dei quattro nomi dalla sua rocambolesca vita, ci si potrebbe scrivere un film. Ed è quello che ha in progetto di fare il regista israeliano Amos Gitai, ospite mercoledì pomeriggio al Meis davanti ad un folto e incuriosito pubblico.

Dona Gracia è di fatto stata una ‘business woman’ del Cinquecento – sul grande schermo interpretata da Isabelle Huppert – che scelse Ferrara per tornare alla propria cultura madre attraverso un intesa finanziaria e culturale con il duca Ercole I. “E’ stata convertita forzatamente a Lisbona – racconta Gitai – al tempo dell’inquisizione e del ‘pogrom’, la terribile persecuzione ebraica in Portogallo, sulla quale stiamo reperendo materiali riguardanti le torture avvenute”. E dopo essere rimasta vedova del capo della comunità sefardita, diventa erede dei beni che avrebbero attirato come calamite principi e sultani – facendole guadagnare l’appellativo di ‘Senora’ – dai quali fuggì prima a Venezia e poi a Ferrara, definita da Dona Gracia stessa “un porto sicuro e franco”.

E’ tra le mura di Palazzo Roverella che scrive un pezzo della sua storia, dopo la richiesta del duca di finanziare le sue attività, fra le quali la costruzione di filiere industriali, l’organizzazione di eventi culturali e attività di filantropia sociale presso scuole e luoghi di aggregazione. “Un luogo fulcro di storia, in cui si è concentrato un numero consistente di intellettuali ebrei dell’epoca della diaspora”, constata lo scrittore Alain Elkann, amico del regista dopo averlo conosciuto al festival del cinema di Venezia.

Ma la storia di Dona Gracia era già passata per mani ferraresi, grazie all’associazione De Humanitate Sanctae Annae e all’ “Intervista Impossibile” pubblicata dal vicepresidente Carlo Magri nel 2016, racchiusa in 20 minuti di docu-film realizzato fra centinaia di viaggi e fonti. “Il video è finito tra le mani di una cara amica di Simonetta della Seta, direttrice del Meis – racconta il presidente del De Humanitate Riccardo Modestino – metà israeliana e metà romana, che l’ha fatto girare fino a farlo arrivare all’Onu e al Ministero degli Esteri”. E nella sua permanenza ferrarese, il regista Gitai sarà ospitato grazie all’associazione presso Palazzo Roverella, che, non si sa mai, potrebbe dare qualche spunto per il set, ancora in fase di elaborazione.

Un duplice omaggio per quello che “oggi è il settantesimo compleanno dalla nascita di Israele”, ricorda Della Seta, “per il quale mi preoccupa l’esistenza tutt’oggi molto fragile”, aggiunge Gitai. “Della storia di questa donna mi affascina come il passato ci può dire tanto del presente e del futuro”, attualizza il regista, analizzando il retroterra dell’antisemitismo “che tutt’ora vive in Europa, uno dei principali elementi che non deve permettere al mio Paese di sopprimere altre persone”.

Uno scenario diametralmente opposto a quello degli anni di Dona Gracia e degli ultimi passi della sua storia, conclusasi a Costantinopoli, in cui “l’Europa era un po’ retrograda, e il mondo islamico illuminato, tanto da permettere la costituzione di Israele per mano degli islamici e del Magnifico. E siccome sono un grande collezionista di contraddizioni – conclude ironico il regista – ho deciso di fare questo film”.

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