Uno storytelling per la Giornata della Cultura Ebraica
La Giornata Europea della Cultura Ebraica che ricorre oggi, domenica 14 ottobre, è dedicata quest’anno allo ‘storytelling’, al narrare. Narrare se stessi, narrare il singolo, ma anche narrare la comunità, narrare le Sacre Scritture, tutti elementi che concorrono ad un’unica anima, quella dell’identità ebraica, una parte del patrimonio dell’Umanità tutta.
Qualche tempo fa è uscito per i tipi della Marsilio editore, Eravamo ebrei, una lunga intervista, in ‘stile indiretto libero’, che una nipote, Ester Mieli, fa al nonno, Alberto Mieli, uno degli ultimi sopravvissuti ai lager nazisti.
Un vero storytelling, un autentico e toccante affabulare di una generazione scampata alla Shoah per ‘non raggiunta età’ – per fortuna – che dedica ai suoi ascendenti il racconto del loro esserci stati. Praefato da Padre Federico Lombardi, si avvale della postfazione di Riccardo Di Segni, rav capo della Comunità ebraica di Roma, e di un’affettuosa, nota finale – imprescindibile chiosa al testo – della nipote stessa – tre ‘raccontatori’, dunque.
È un dolce, spontaneo sermo familiaris, il linguaggio letterario scelto per narrare esistenza ed atrocità vissute da Alberto, a volte, quasi, percorso da semi-dialettismi. Ma questo rende ancor più immediato e commovente il racconto di una vita così sofferta prima, e poi, così ben spesa.
«Non c’è ora del giorno o della notte in cui la mia mente non vada a ripensare alla vita nei campi, a quello che i miei occhi sono stati costretti a vedere» – ammette Alberto. Ancor oggi – ma lo fa da tempo – Alberto ‘tramanda’ le sue memorie, i suoi ricordi, nelle scuole, alle generazioni future, per non dimenticare di ricordare, perché i giovani che non ‘sanno’, non abbiano un giorno a ‘negare’ – come è già successo – che tutto quanto non sia stato, ma che E’ accaduto per davvero e come direbbe Primo Levi: “Meditate, che questo è stato”.
A tratti il senso stesso del racconto viene dolcemente interrotto dai commenti affettuosi, evidenziati in corsivo, della nipote Ester che ne ha coordinato la stesura. Ma è stato un modo, per lei, per avvicinare anche i suoi figli al suo caro nonno che è riuscito a diventare pure bisnonno: sì, perché la vita, dopo la sofferenza, gli è stata ri-donata dalla sua famiglia, a cui è potuto tornare dopo il campo di concentramento e da quella di oggi, quella delle generazioni che stan crescendo e che dovranno, a loro volta, tramandare queste memorie perché ciò che è ‘stato’ – ancora una volta è giusto ribadirlo – non abbia a ripetersi, mai più.
Maria Cristina Nascosi Sandri