«Shoah, ecco come l’Italia si scoprì generosa»

di STEFANO LOLLI

VITTIME, carnefici, persecutori, soccorritori: difficile suddividere così gli italiani che, tra il 1943 e il 1945, hanno fatto i conti con la Shoah. Ebrei, e non solo gli
ebrei; i primi, impegnati a Salvarsi (titolo del fondamentale saggio di Liliana Picciotto, presentato ieri a Giurisprudenza). I secondi, «capaci di reagire e mettere in atto grandi gesti di soccorso individuale e di generosità – racconta la storica –, dopo che dal 1938 al 1943, dunque dalla promulgazione delle ‘leggi razziste’, c’era stata pochissima reazione in difesa della dignità e dei diritti civili e politici degli ebrei».

È UN LIBRO importante, quello della Picciotto, perché va oltre la ‘memoria, «e offre una fotografia incredibile della storia del nostro Paese – spiega Simonetta Della Seta, in apertura del convegno che l’Università ha organizzato assieme al Meis –, dà sostanza a una ricerca iniziata nel 2005, porta alla luce non solo la storia, ma fette di umanità». Il libro, nelle intenzioni della Picciotto è nato per «rovesciare la medaglia», per capire cioè quanti ebrei sono riusciti a salvarsi dallo sterminio (l’81% quelli scampati in patria), e attraverso quali vie, spesso impervie. «Innanzitutto dovettero capire cosa stava succedendo, il che per molti non era facile – spiega la Picciotto –; poi cambiare identità, magari grazie all’aiuto di oscuri impiegati comunali che si prestarono a dar loro carte in bianco; insegnare ai bambini nomi nuovi, diventare nomadi, cambiando quartiere, città, regione; poi avendo denaro, per chi poteva averne, o cercando aiuto per trovare il cibo, un appartamento in cui vivere, la maniera di spostarsi».

UN SAGGIO ponderoso (che proprio oggi l’autrice andrà a presentare allo Yad Vashem di Gerusalemme), frutto, più che di ricerche negli archivi, «di racconti e storie orali, ascoltando ‘salvi’ e ‘soccorritori’ », le categorie in cui la storica suddivide il capitolo più intenso. Quello dedicato alle persone; e in queste testimonianze, struggenti, c’è anche quello del ferrarese «da antiche generazioni» Cesare Moisè Finzi (nipote del primo titolare di una profumeria in città), che nel capitolo Un sarto riconoscente racconta della vita nel ghetto, gli studi alla scuola ebraica, e poi dopo l’8 settembre la partenza angosciosa con il padre
Giuseppe, il fratello, gli zii e i cugini. «Dovevamo trovare un posto sicuro dove stare, senza mettere in pericolo i nostri ospiti», si legge. A Cattolica, nella bottega di un sarto, il padre di Cesare dovette confessare il proprio vero nome. «Fu un miracolo!». Perché quel sarto, anni prima, era stato beneficiato da un parente dei ferraresi: «Ci salvammo grazie all’incontro fortuito con quel sarto generoso».


Confronto al Meis

OGGI ALLE 18 LA SAGGISTA SERRI PRESENTA ‘BAMBINI IN FUGA’ CON LA DIRETTRICE DELLA SETA

ENTRA nel vivo il calendario delle iniziative legate al Giorno della Memoria. Alle 18, il Meis di via Piangipane 81 ospita il confronto sul libro di Mirella Serri ‘Bambini in fuga’ (Longanesi, 2017), e che vedrà la presenza dell’autrice. Conversando con il direttore del Meis, Simonetta Della Seta, Serri ripercorre la rocambolesca vicenda di settantatré giovanissimi ebrei tra i sei e i diciassette anni che, per sottrarsi alle persecuzioni naziste dopo aver perso i genitori nei campi di concentramento, attraversano la Germania e la Slovenia e riescono a giungere a Nonantola, in provincia di Modena. Qui, a dispetto del fascismo e delle campagne razziali, la popolazione si mobilita per aiutarli, offrendo loro protezione per un anno intero. Ma l’8 settembre 1943 la situazione precipita: Nonantola viene occupata dai nazisti e i ragazzi devono essere rapidamente messi in salvo, con la speranza di farli espatriare in Svizzera. Un’appassionante storia di cui Serri, nel proprio volume, porta alla luce elementi nuovi.


Leggi razziali, sport e oblio

MEIS GIOVEDÌ COI LIBRI DI SMULEVICH E MARANI

LE LEGGI razziste del 1938 hanno privato l’Italia dell’apporto degli ebrei in tantissimi campi della vita pubblica, compreso lo sport. Un tema purtroppo ancora molto attuale, di cui Stefano Lolli, giornalista del Resto del Carlino, discuterà con Adam Smulevich (in foto) giovedì alle 21 al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (via Piangipane 81), in occasione degli appuntamenti organizzati dal Meis per il Giorno della Memoria.

LO SPUNTO di partenza sono i libri ‘Presidenti’ (Giuntina 2017), che proprio Smulevich ha dedicato alla vicenda di tre ebrei alla guida di squadre di calcio italiane, poi bollati dal fascismo come ‘indesiderati’, e l’inchiesta di Matteo Marani ‘Dallo scudetto ad Auschwitz, vita e morte dell’allenatore Arpad Weisz’ (Aliberti, 2007). Presidenti accende i riflettori su Raffaele Jaffe, che regalò a Casale un incredibile scudetto alla vigilia della Grande Guerra, Giorgio Ascarelli, fondatore del Napoli, e Renato Sacerdoti, che per primo fece assaporare ai tifosi della Roma il sogno tricolore. Tre protagonisti ‘scomodi’ del nostro calcio che, tra feroci ritorsioni postume, emarginazione e deportazione, furono vittime delle leggi razziali, fino ad essere quasi del tutto dimenticati.

IL LAVORO di Matteo Marani riporta, invece, alla luce, dopo oltre settant’anni di ingiusto oblio, una leggenda del pallone: Arpad Weisz. Ungherese di origine ebraica, è stato il più giovane allenatore di sempre a vincere lo scudetto in Italia (nel 1930, con l’Inter). In seguito, alla guida del Bologna, ne conquistò altri due e riuscì a imporsi sugli inglesi del Chelsea, nel 1937. Ma le leggi razziali lo attendevano al varco: Arpad fu costretto a fuggire dall’Italia e, rifugiatosi prima in Francia e quindi in Olanda, venne catturato dalle SS e terminò i suoi giorni, con moglie e figli, nel più terribile dei lager nazisti. L’incontro si terrà al Meishop, con ingresso da via Piangipane 81.

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