Rosh HaShanà, il capodanno ebraico. Festa universale, ripetizione del passato che apre il futuro

Rosh HaShanà. Capo dell’Anno. La parola shanà, che significa “anno”, viene da una radice legata tanto alla ripetizione quanto al rinnovamento. L’anno ritorna, ma cambia se stesso, così come cambiano gli essere umani.

Il capodanno ebraico è segnato da due giorni di festa solenne all’inizio del mese ebraico di Tishrì.

Al centro c’è il suono dello shofàr, il corno di montone, grazie al quale Abramo, nel racconto biblico, alla fine sacrificò l’animale e non il figlio. Un suono potente, straziante, che ricorda l’inizio del mondo, il primo giorno della Creazione. Il suono che rammenta i meriti, ma anche le mancanze, e che riporta ciascuno a sé e alla radice del proprio Essere. Il suono/monito che scuote ed esorta a rivolgersi al domani, modificando fattivamente ogni persona sia nell’intimo che verso l’ambiente esterno. Una voce inusuale e diversa da ogni altra, che evoca appunto il mancato sacrificio di Isacco, sostituito da un montone, e rammenta al contempo il dono della Torà, della Legge, annunciato secondo la tradizione proprio dallo strepito dello shofàr. Un suono che celebra, infine, la Maestà di Dio sul Creato.

Due giorni solenni nei quali Dio giudica il mondo e ciascuno. Un incitamento a muoversi, a cambiare. Il principio di un percorso dove ogni azione positiva, anche la più piccola, può migliorare il destino individuale e quello di tutti. Una festa universale.

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