MEIS, un museo a Ferrara racconta la storia degli ebrei italiani

Conoscere la storia degli ebrei italiani significa affrontare temi attuali come i diritti umani e il dialogo con le minoranze. Ne abbiamo parlato con Simonetta Della Seta, direttrice del MEIS, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, nato in un ex carcere, luogo di esclusione e segregazione, nel 2018 a Ferrara. Si tratta di un polo culturale sull’ebraismo a tutto tondo che offre ai suoi visitatori uno spettacolo multimediale, un percorso espositivo permanente e mostre temporanee sulla cultura ebraica. Il MEIS racconta la presenza degli ebrei in Italia lungo 2.200 anni.

In occasione della giornata della memoria la direttrice Simonetta Della Seta ci racconta il suo museo.

Che relazione ha il MEIS con la Shoah?

Il Museo è ancora in costruzione: lo abbiamo aperto solo da un anno e stiamo tuttora lavorando sul periodo dell’antichità e del Rinascimento. La Shoah fa, però, parte del nostro nome e trattare fin da ora anche quel momento della storia è indispensabile. Non è un impegno semplice: vogliamo ricordare chi furono gli ebrei uccisi in Italia a causa dell’Olocausto, ma anche fare i conti con il ruolo che gli italiani hanno avuto in questi terribili eventi. Non ci fermeremo alla funzione della memoria, che nell’ebraismo è molto importante, poiché è imperativo ricordare per vivere nel presente e per costruire il futuro. Il nostro obiettivo sarà anche quello di combattere l’indifferenza, perché nel momento in cui l’essere umano è indifferente a chi gli sta vicino, può nascere qualsiasi tipo di deviazione. L’indifferenza ti impedisce di capire l’altro con cui vivi e quando ci si arrende a questa condizione, magari per proteggersi, allora i diritti di tutti sono in pericolo. Nella narrazione del MEIS mettiamo costantemente l’accento sulla vita; parlare di Shoah significa non solo focalizzare quanta vita ebraica è stata spezzata in Europa, ma interrogarsi su che cosa ha perso l’Europa stessa, anche da un punto di vista umano e culturale. È un problema attuale, non concluso, su cui c’è da imparare una grande lezione ancora oggi. Dare vita a un allestimento che esprima tutto ciò è un lavoro complesso e lungo, ma ci stiamo ragionando, insieme agli esperti e al Comitato Scientifico del Museo.

Fino a febbraio 2019 il MEIS ospita la mostra di Dani Karavan. Che luogo è “Il Giardino che non c’è”?

La mostra dell’architetto e artista 88enne Dani Karavan parla di uomini e di diritti umani, nello spirito che caratterizza il nostro Museo, dove raccontiamo il lungo dialogo tra una minoranza (gli ebrei italiani) e la maggioranza (la società circostante). Il suo progetto per Ferrara nasce dal desiderio di descrivere con l’arte la forza di un giardino letterario su una città, e oltre la città stessa: il giardino che tutti cercano ma che in realtà non esiste, se non nel libro di Bassani. In esposizione, fino al febbraio 2019, c’è il modello dell’opera che Karavan dedicherà a Ferrara, ovvero “Il Giardino che non c’è”, ispirato alla storia dei Finzi-Contini. Un luogo per ricordare il momento in cui la città ha voltato le spalle ai suoi ebrei. Accanto a questo progetto sono rappresentate anche altre sue opere, che si trovano sparse nel mondo: da Norimberga al deserto del Negev, da Berlino a Portbou: tutte attraversate dal desiderio di parlare dell’uomo e delle sue ferite. Questa caratteristica dell’artista si lega alla doppia missione del MEIS: far conoscere la storia e la cultura degli ebrei italiani, presenti nella nostra penisola da oltre duemila anni, ma anche utilizzare questa vicenda così prolungata per insegnare qualcosa al presente. Per questo il MEIS, collocato oltretutto in un ex carcere, è aperto al mondo, e spera di offrire un’esperienza unica al largo pubblico, italiano e internazionale.

Per informazioni sulle varie attività in programma al museo: www.meis.museum

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