Meis, il magnetico Giardino di Dani Karavan
Stefano Lolli
«RICORDO alcuni turisti americani, sulle punte dei piedi, che sbirciavano dietro i muri di corso Ercole d’Este, per vedere il Giardino dei Finzi Contini. ‘Non c’è,
non c’è’, gli dicevo. E loro mi guardavano stupiti». Ora lo stupore, nelle sale del Museo Nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah, è negli occhi che brillano di Dani Karavan, 88 anni, tra i massimi artisti contemporanei viventi. Che in un percorso di binari e tracce lievi nella sabbia, di plastici e video, accompagna il visitatore nel più magnetico tra i giardini inesistenti. Quello che, nato dal genio di Giorgio Bassani, sfida ognuno «a tendere una mano verso l’altro, ad alzare uno sguardo con affetto e comprensione – dice la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Noemi Di Segni –, a cancellare l’indifferenza
che rende, spesso, gli uomini giardini chiusi».
LA MOSTRA, inaugurata ieri, è un viaggio nei sogni e nella creatività di Karavan: dall’installazione progettata per Ferrara (promossa «dall’amicizia affettuosa
con Paolo Ravenna – ricorda l’artista israeliano – e proseguita grazie al rapporto tenace con il sindaco Tiziano Tagliani, con Andrea Malacarne, Simonetta Della Seta») al monumento che a Berlino ricorda l’olocausto di Sinti e Rom; dall’evocazione della marcia di Walter Benjamin a Port Bou, in Spagna, sino al materico
appello alla pace realizzato a Norimberga. Ma è Ferrara la protagonista principale: «L’ho scoperta nel 1956, quando sono venuto in Italia per la prima volta – racconta –: un critico mi disse che se volevo capire cosa fosse un affresco, dovevo andare a Palazzo Schifanoia. Ne sono rimasto folgorato, come dalla Madonna col melograno nel Museo della Cattedrale». E a Ferrara comunque Karavan veniva spesso quando, a Granarolo per un’opera che lo impegnava in fonderia, si spostava nella nostra città «provando a scampare da zanzare enormi – ride, allargando le dita a dismisura –: qui ho conosciuto Ravenna, il mito di Bassani e quel suo Giardino che, da anni, è diventato il mio sogno».
IL PERCORSO della mostra, di folgorante minimalismo, si dipana tra minuscoli giardini di sabbia, dall’aspetto quasi zen («io sono nato nel deserto, i miei primi passi creavano bassorilievi»), un lungo binario che identifica il viaggio della coscienza oltre che il tragitto dell’orrore, le pareti con il titolo del Giardino dei Finzi Contini in molte lingue del mondo, e il manoscritto del romanzo, aperto proprio alla pagina in cui Bassani descrive quel luogo irraggiungibile eppure polare. «Alla mia età non mi interessava più fare mostre – prosegue Karavan, accarezzando le righe con lo sguardo –: a 88 anni ho raggiunto un lungo chilometraggio. Né cercavo un posto in cui mettere una scultura mia: ma c’è questo posto, Ferrara, che ha cercato una mia opera».
OPERA che è ancora una maquette, un bozzetto, evidenzia il presidente del Meis Dario Disegni, «di straordinaria energia: con questa mostra, oltre a rappresentare l’importanza di un artista unico, vogliamo anche sollecitarne la realizzazione». La memoria, filo rosso del lavoro di Karavan, e il futuro: «Fare memoria, oggi, non è solo commemorazione e ricordo – prosegue Disegni –, ma ribadire con la forza delle idee, e con l’arte, l’impegno civile. In un momento in cui l’antisemitismo, il razzismo, la xenofobia assumono contorni virulenti, questo è il nostro compito». Un compito di tracce potenti, che Karavan immagina per lo spazio verde tra palazzo Prosperi e il liceo Ariosto: uno scasso nel muro, proprio a fianco dello ‘slargo’ intitolato all’amico Paolo Ravenna; una scala, una bicicletta, un binario che si incunea nel Giardino che torna visibile, come i volti di Alberto e Micòl. «Eccoli là», dice Karavan puntando il dito verso un pannello. Bianco. Nudo. E acceso di emozione.
«Da bozzetto diventerà installazione»
IL PROGETTO – Pensato dall’artista per l’area verde tra palazzo Prosperi e il liceo Ariosto
«DANI sente l’energia degli spazi, e con gli spazi lavora». È una sorta di efficace didascalia, quella con cui il direttore del Meis Simonetta Della Seta introduce i
primi visitatori alla nuova mostra, che al pianterreno del museo prende il posto di alcune sale dell’esposizione, recentemente conclusa, sui primi mille anni
di presenza ebraica in Italia. Una mostra tutt’altro che marginale, tanto più che è destinata ad anticipare quella, ancora una volta ambiziosa, che si aprirà il
14 marzo 2019 «e avrà come titolo ‘Il Rinascimento parla ebraico’», lo spot è del presidente del Meis Dario Disegni. Ora tuttavia la concentrazione si impone per i lavori di Karavan, e per il progetto di trasformare il bozzetto in un’installazione compiuta: «Abbiamo ormai chiara la definizione dell’opera – dice Andrea Malacarne, presidente di Italia Nostra –: l’ideazione di Dani è magnifica, e per quanto riguarda i costi, abbiamo una valutazione abbastanza precisa».
Circa 200mila euro, sussurra Malacarne, perché parlare di cifre di fronte agli artisti è malvezzo: «Forse anche qualcosa in meno, chissà». Intanto, va registrato il contributo del Comitato per le celebrazioni del centenario di Giorgio Bassani (comitato rappresentato ieri da Daniele Ravenna), che proprio ieri ha chiuso ufficialmente le attività, e che sponsorizza il catalogo.