Meis – Guida dei perplessi, la nuova vita del manoscritto

Ogni libro ha una vita. Il Codice Norsa, manoscritto miniato della “Guida dei perplessi” di Maimonide, ne ha almeno tre.

A ripercorrere le sue rocambolesche e affascinanti vicende, l’incontro “La Guida dei perplessi di Mosè Maimonide. Un restauro in equilibrio tra storia, estetica e conservazione” svoltosi al Salone Internazionale del Restauro, dei Musei e delle Imprese Culturali di Ferrara e organizzato dall’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario (Icrcpal) in collaborazione con il Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah – Meis.
Appartenuto per più di 500 anni alla famiglia ebraica mantovana dei Norsa, il Codice è uno dei preziosi volumi esposti al Meis per la mostra “Il Rinascimento parla ebraico” curata da Giulio Busi e Silvana Greco. Nel 2017 è stato acquistato dallo Stato e restaurato dall’Icrcpal.
“Noi siamo come un ospedale per libri malati – ha esordito Maria Letizia Sebastiani, direttore dell’Icrcpal – e il nostro obiettivo è quello di poterli restituire sani alla collettività”.
“Dal 1500, la famiglia Norsa ha custodito il codice – ha spiegato il presidente del Meis Dario Disegni – ed è stato particolarmente interessante seguire l’acquisizione da parte dello Stato italiano che è riuscito a non farlo uscire dal Paese. Grazie all’Icrcpal e al suo restauro straordinario abbiamo la possibilità e il privilegio di mostrare al Meis uno dei capolavori dell’arte ebraica”.
Un testo emblematico dell’ebraismo italiano, ha ricordato il direttore del Meis Simonetta Della Seta: “La Guida dei perplessi di Mosè Maimonide è stata scritta in arabo e tradotta in ebraico in area sefardita, poi copiata in area germanica aschenazita, infine custodita per secoli da una famiglia di ebrei italiani a Mantova. Un esempio della pluralità ebraica nella nostra Penisola, nonché di confronto tra culture, dal momento che Maimonide cercò in questa opera una strada per far dialogare la filosofia ebraica, aristotelica e musulmana”.
Cosa rende questo manoscritto così unico? Lo illustra Giulio Busi, curatore della mostra: “La particolarità è nella miniatura. Realizzato nel 1349 nel periodo della peste nera, il codice ha delle miniature a tutta pagina, un vero e proprio unicum per un’opera di carattere filosofico. Bisogna pensare che all’epoca un libro del genere costava più di una casa”. “Se non sappiamo nulla del primo acquirente – ha proseguito Busi – conosciamo l’identità del banchiere mantovano che lo ha comprato nel 1516: Mosheh ben Netan’el Norsa, un uomo dalla doppia anima: banchiere ma anche fine intellettuale”.
A raccontare tutti gli straordinari risvolti del restauro, Maria Carla Sclocchi, responsabile del laboratorio di biologia e Maria Luisa Riccardi del laboratorio di restauro dell’Icrcpal. Il primo incontro con il libro, dice Sclocchi, è una vera e propria visita medica. Vengono fatte le analisi, i prelievi e si fa una diagnosi. La copia presentava ad esempio delle macchie, una molto evidente di colore biancastro e, una volta individuate le problematiche, si agisce. Un lavoro delicato che richiede la sinergia di biologi, chimici e restauratori. Riccardi suggerisce di tenere a mente tre date: “Come restauratori abbiamo fatto riferimento a tre momenti della vita di questo libro: l’anno in cui è stato copiato, 1349, l’anno in cui è stato acquistato da Norsa, il 1516, e l’anno più critico per la città: il 1630 quando avvenne il disastroso sacco di Mantova ad opera dei lanzichenecchi. Proprio questo spiegherebbe un segno di danneggiamento alla copertina e al dorso, che abbiamo voluto mantenere visibile”. Il restauro ha tenuto conto dunque di tutti gli elementi a disposizione rispettando i tre obiettivi; quello dell’estetica, della fruibilità e della storia utilizzando gli strumenti più moderni ed avanzati disponibili.
“Un lavoro – ha concluso Sebastiani – realizzato grazie anche a Micaela Procaccia, per anni responsabile del patrimonio archivistico dello Stato, e sul quale uscirà presto una pubblicazione”.

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