Informatica e rigore scientifico, un software aiuta a tradurre le pagine sacre del Talmud
di STEFANO LOLLI
NAVIGARE, grazie al web, nel «mare della conoscenza», come è definito il Talmud. Testo fondamentale per l’ebraismo, pietra miliare per la religione e la cultura, il libro-monumento (5722 pagine, venti volumi, trentasei trattati) è in corso di traduzione grazie a un software messo a punto da un pool di studiosi e ricercatori. Il ‘Progetto Talmud’ è stato illustrato ieri al Museo Nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah da alcuni tra i protagonisti principali: rav Gianfranco Di Segni, coordinatore di tutta la traduzione (arrivata oggi al secondo volume), David Dattilo (responsabile del software e braccio destro dell’ideatrice Clelia Piperno) e Emiliano Giovannetti, del Cnr di Pisa che collabora con uno staff di ricercatori.
TUTTO ruota attorno a un software (‘Traduco’), concepito «per la traduzione di testi complessi – spiegano Giovannelli e Dattilo –: applicato sull’ebraico antico e l’aramaico, consente a una pluralità di studiosi e traduttori di addentrarsi nelle pieghe dello scritto, e di tradurlo grazie al supporto, al suggerimento fornito dallo strumento informatico». Non si tratta, ovviamente, di un ‘traduttore automatico’, neppure evoluto, simile a quelli installati su computer e smartphone: «Il Talmud, di per sè, è intraducibile senza il fondamentale apporto umano – sottolinea Giovannelli –, ma in questo caso la disciplina e lo studio vengono agevolati da uno strumento che consente anche di rendere omogenee le traduzioni, di organizzare le fonti, di tracciare ogni modifica». Al di là dello straordinario rilievo specifico del progetto (sottolineato, nell’introduzione, dal direttore del Meis Simonetta Della Seta), la novità di ‘Traduco’ risiede anche nella possibilità di essere applicato ad altre lingue, altrettanto complesse, e altri testi. «Alla Farnesina ci è stato chiesto se è possibile utilizzarlo
per tradurre il Corano – dice Dattilo –, e non sarebbe un problema». Così pure per altre lingue, in una società globalizzata in cui l’intreccio di idiomi e dialetti ripropone l’idea di una moderna Babele.
PER IL MOMENTO, che si prospetta lungo, il Progetto Talmud resta saldamente ancorato allo «Studio» (termine che traduce la parola originaria), alla sua vastità e complessità: «Siamo partiti nel 2012, grazie a un finanziamento di 5 milioni di euro del Miur, che collabora al progetto assieme alla Presidenza del Consiglio e all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – proseguono Giovannelli e Dattilo –, di recente abbiamo vinto un altro bando che ha assegnato un milione di euro l’anno per i prossimi cinque anni». Un centinaio complessivamente gli studiosi e i ricercatori coinvolti, con supervisori alla traduzione che si affiancano agli informatici: «L’eccezionalità di questo progetto nasce dal fatto che coniuga la parte digitale e quella umanistica», sottolineano i ricercatori. Fieri anche per l’esito, in parte imprevedibile, della pubblicazione: il primo libro tradotto del Talmud è già stato venduto in 10mila copie, per il secondo (presentato ieri, il Trattato di Barakhot) le aspettative sono ugualmente rilevanti. «Al momento è stata tradotta metà del Talmud – concludono Dattilo e Giovannetti –, ma arrivare dalla traduzione alla stampa del volume prende molto tempo». Perché nel «mare della conoscenza», navigare ora è più facile, ma senza l’apporto umano il naufragio è sempre possibile.