Il Meis si accende con Mattarella
Inaugurati museo e mostra. La lezione della storia antidoto contro le paure
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inaugurato ieri a Ferrara il Meis. L’edificio che fino al 1992 ospitava le carceri cittadine – il luogo di reclusione ed esclusione per antonomasia – torna a nuova vita come museo – il luogo più aperto e inclusivo per definizione – dedicato alla storia e alla vita ebraica. La struttura verrà completata nel 2020, con la creazione di cinque edifici moderni a richiamare i cinque libri della Torah. Nel giorno dell’inaugurazione e del taglio ufficiale del nastro, il Meis si è aperto alla cittadinanza presentando lo spettacolo multimediale “Con gli occhi degli Ebrei italiani”, sorta di introduzione permanente ai temi del museo e con il percorso espositivo “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni”. Oggi ingresso gratuito.
Una festa di luci. Mattarella inaugura il museo ebraico
La storia della nascita del Colosseo colpisce il Presidente. Si rinsalda il legame tra il popolo del Libro e Ferrara
L’affollatissima cerimonia di inaugurazione ufficiale del Museo dell’Ebraismo e della Shoah, con la mostra “Ebrei, una storia italiana, i primi mille anni”, ha ruotato attorno alla presenza tranquilla di Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica è arrivato puntuale, da un ingresso secondario del museo, salutando da lontano telecamere e giornalisti, ed è stato un’ora e mezza dentro il primo edificio completato del Meis, ascoltando i discorsi ufficiali e gustandosi l’anteprima della mostra. «Si è dimostrato molto interessato, ha fatto un sacco di domande ed è stato colpito in particolare dalla storia del Colosseo, costruito con l’oro del tempio di Gerusalemme – ha riportato Dario Disegni, presidentedel Meis – Ha seguito attentamente il racconto dell’integrazione degli ebrei in Italia, che ha mantenuto intatta la loro identità. Ha riconosciuto che si tratta di una mostra molto importante».
A stimolare le curiosità di Mattarella, che non si è lasciato sfuggire una sola frase ufficiale, forse per via del delicatissimo momento politico che vive Israele, ha probabilmente contribuito il canovaccio studiato per il pomeriggio. Lungo i tre piani dell’edificio centrale del Meis, “protetto” da un gazebo bianco al quale si è accostata l’auto presidenziale, si sono dispersi gli oltre 400 invitati, tra esponenti delle comunità ebraiche italiane, del mondo culturale e amministrativo locale e nazionale, mentre in una settantina hanno avuto il privilegio di assistere all’accensione delle candele dell’Hannukkah, la festività ebraica che coincide con Santa Lucia, da parte del rabbino Luciano Caro. Tra gli assenti c’era Simonetta Della Seta, la direttrice del Meis, a causa di un grave lutto familiare, che ha affidato il suo saluto allo stesso Caro.
Tutti gli interventi hanno in ogni caso toccato il tasto della lezione che si può ricavare dalla storia dell’ebraismo italiano racchiusa in quell’edificio: inclusione e cultura come «antidoto, il più straordinario, alle paure del diverso, alla chiusura », per citare le parole di Dario Franceschini. Il ministro alla Cultura ha anche esplicitato il motivo per il quale è stata scelta Ferrara per ospitare questo museo nazionale: dopo aver riconosciuto che l’idea originale si deve a Vittorio Sgarbi e AlainElkann, Franceschini ha ricordato che «i ferraresi sono profondamente legati agli ebrei, ancora oggi. È un po’ Bassani in quell’insegnante che si prende cura dei bambini ebrei che non possono più andare a scuola, con le leggi razziali, e tra questi c’è Paolo Ravenna, che poi è stato tra i sostenitori di questo museo».
Il collante locale nell’opera, ancora parziale, di saldatura del progetto è stato l’altro filo conduttore del pomeriggio. «La città ha seguito passo passo la nascita del museo, e l’amministrazione comunale lo ha sempre sostenuto come progetto strategico, rimanendo in primo piano anche nella non semplice sfida del completamento » ha riconosciuto Disegni. Di «vicenda seguita con amore, rispetto e senso di responsabilità, da parte della città e di tutte le maestranze impegnate nel cantiere» ha parlato il sindaco Tiziano Tagliani, il quale ha rilevato le particolarità ferraresi della storia ebraica, dall’accoglienza degli ebrei sefarditi in fuga dalla penisola iberica ai secoli del ghetto; dal contributo ebraico alla Prima guerra mondiale al fatto di aver avuto un podestà ebreo, Renzo Ravenna, fino all’opera della chiesa locale nel dopoguerra, testimoniata anche da Carlo Schönheit, presente ieri in sala. Tagliani non ha risparmiato un passaggio collegabile con la realtà della cronaca, segnata dai problemi dell’immigrazione: «Bisogna resistere rispetto a tentazioni di chiusura, il confronto con realtà diverse è la strada». Su questo filone ha continuato il presidente della Regione, Stefano Bonaccini: «Il Meis ha sede non a caso a Ferrara, da sempre realtà importante dell’ebraismo italiano fin dalla metà del XIII secolo. È anche la storia del faticoso confronto con le minoranze, e di come sicurezza e benessere siano indispensabili a ogni minoranza per vivere serenamente».
C’è stato il tempo, una volta uscito Matterella con tanto di scorta e corazzieri, per una prima visita al Meis e alla mostra che oggi apriranno ufficialmente i battenti al pubblico, per rimanervi fino al 16 settembre 2018. Le luci delle candele sui bracci della Menorah, accese con qualche difficoltà, hanno ondeggiato un poco all’apertura delle porte del grande edificio, con l’ingresso dell’aria fredda della sera. Ma è stato un attimo, poi sono tornate sicure e brillanti.
Stefano Ciervo
Il ministro: «Più risorse per continuare a crescere»
Attesa l’approvazione alla Camera di ulteriori finanziamenti per la ricerca. «Il Meis ha un futuro internazionale, la conoscenza antidoto alle paure di oggi»
di Alessandra Mura
Il Meis è nato, ma deve ancora diventare grande. E per farlo crescere, non solo realizzando tutte le cinque sezioni previste, ma mantenendo l’attività di scientifica e culturale, serviranno altre risorse unendo forze pubbliche e private.
Il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, primo firmatario della legge costitutiva del Meis, nel giorno dell’inaugurazione del museo guarda al futuro e punta a rinnovare quel consistente «impegno di Stato» che ha visto un finanziamento di 50 milioni di euro per arrivare al completamento della struttura.
Ma perché il Meis respiri, e non venga meno ai suoi compiti di studio e ricerca, ha detto il ministro, il sostegno economico non dovrà venire meno. Per un soffio Franceschini non ha potuto annunciare alla platea inaugurale l’arrivo di altre «consistenti risorse», previste da un emendamento in corso di approvazione alla Commissione Bilancio della Camera: «Speravo che passasse già oggi, dovrebbe essere questione di poco».
Ma se è mancata la ciliegina, la torta è stata comunque dolcissima: «Questa per me è una giornata emozionante, perché si compie un percorso iniziato anni fa, nel 2003. L’idea è nata qui, durante una discussione con Vittorio Sgarbi e Alain Elkann; ero diventato parlamentare da poco, e insieme a me a firmare la legge costitutiva del Meis sono stati tutti i capigruppo, merce davvero rarissima nella politica italiana». Poi la svolta, nel 2006, quando «si trovò un equilibrio intelligente individuando Roma come sede del Memoriale della Shoah, e Ferrara del museo della storia dell’ebraismo».
Altro non poteva essere, perché «a Ferrara l’ebraismo è dentro le pietre e le persone. È la città che ha accolto la comunità in secoli difficili, ma è anche la città conosciuta nel mondo grazie all’opera letteraria di Giorgio Bassani, con turisti che ancora oggi chiedono invano dove si trovi il giardino dei Finzi Contini, mentre il giardino in realtà non esiste, se non nell’anima».
Un legame forte, una contaminazione a tutto tondo. Impossibile per il ministro non ricordare un posto speciale, la trattoria “Nuta” di via Mazzini: «Ci lavorava la mamma di mia zia, e là ho conosciuto i piatti di storione e caviale preparati secondo le ricette ebraiche tramandate di generazione in generazione».
Una contaminazione destinata a continuare, incidendo sullo stesso paesaggio urbano ferrarese. «Il completamento del Meis sarà un esempio di architettura contemporanea di grande qualità, e ben vengano questi “innesti” anche in città storiche, specie se in un contesto così fortemente simbolico».
«Quella degli ebrei – ha proseguito il Ministro – è una storia incredibile, bellissima, ricca, piena di dolori e gioie, speranze e delusioni, e poco conosciuta, che il Meis contribuirà a far conoscere». Per questo, ha ribadito Franceschini «occorre fare un investimento sul futuro scientifico del Museo e puntare sul turismo scolastico che può essere di livello internazionale».
Il Meis ha già avuto importanti vetrine mondiali con le presentazioni a Gerusalemme e a New York, e la presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’inaugurazione di ieri, ha concluso il ministro, «è un segnale di grande attenzione. Lo Stato italiano sarà al fianco del Meis anche nei prossimi anni per sostenerne il compito di diffusione della conoscenza, l’antidoto più forte alla paure del nostro tempo».
La lettura di Sgarbi: questo è il frutto delle larghe intese
Vittorio Sgarbi ha reso frizzante, come solito, il pomeriggio presidenziale al Meis. Arrivato al museo assieme alla sorella Elisabetta, il critico d’arte è stato solo parzialmente gratificato dalla citazione del ministro Franceschini, che gli ha in sostanza riconosciuto la primogenitura sull’idea originale di un museo nazionale dell’ebraismo e della Shoah a Ferrara. «È vero, l’ha parzialmente riconosciuto, ma ho dovuto correggere il ricordo di Franceschini – ha commentato al termine della cerimonia – Il contesto erano le accuse di fascismo riversate sul governo Berlusconi, con tanto di aggressione da me subita a Parigi. Al ritorno parlai con Elkann e l’architetto Fuskas di questa idea, poiché non ero parlamentare fu Franceschini a presentare la proposta di legge e la cosa si fece con il contributo di tutti. Così non eravamo più fascisti». Altra “correzione” di Sgarbi al ministro, «ha detto che le nostre strade si sono politicamente divise, ma non è proprio così. Questo museo è frutto delle larghe intese, e lui in fondo ha governato cinque anni proprio con questa formula di governo, visto quindi che non siamo poi così lontani?». Chissà che non si tratti di una rivendicazione postuma che si proietta nel futuro, almeno come possibile scenario in caso di stallo dopo le elezioni politiche dell’anno prossimo. Sgarbi, tornato nelle vesti di critico d’arte, ha poi concesso un giudizio molto positivo sul Meis e sulla mostra: «Tutto bellissimo, sono rimasto particolaRmente colpito dalle riproduzioni degli affreschi romani, che si fatica a catalogare come disegni». Il tutto prima della rabbia per i guai del protocollo.
Fermi davanti all’ingresso: «A voi vèdar al president»
Sono una quindicina le persone che aspettano, e sperano, di vedere il Capo dello Stato. È qui per inaugurare il restauro di un’altra importante parte dell’edificio che ospita il museo nazionale dell’ebraismo e della Shoah e anche la mostra “Ebrei, una storia italiana – I primi mille anni”. Appostati sui marciapiedi davanti all’ingresso del Meis (lato di via Piangipane) restano in attesa. Il freddo è pungente, ma si può resistere, almeno per un po’. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è appena a pochi metri di distanza; all’interno della struttura. Non capita spesso di avere il Capo dello Stato a una dozzina di passi e allora, perché non approfittarne? Tra gli estimatori, o semplicemente tra i curiosi, anche qualche bambino che interessato e anche un po’ divertito dalla situazione, aspetta di vedere con i propri occhi il presidente della Repubblica. Alle 17.40 Mattarella è già all’interno del Meis. «Ma è entrato dall’altro lato?», chiede qualcuno. Si abbozzano risposte ma nessuno sa dire con precisione se davvero sia o non sia già dentro. Passano i minuti, la curiosità della prima ora inizia a cedere il passo all’insofferenza.
Si avvicina l’ora della cena, la temperatura scende e stare in piedi al freddo non è poi così galvanizzante. «Aspettiamo ancora un po’ – dice una badante che accompagna una signora anziana – e poi se non lo vediamo andiamo a casa», «No – risponde la donna – mi a voi vedar al president! ». Le lancette corrono. I primi “disertano”. «Ma se esce da dove è entrato, e cioè non da qui, cosa aspettiamo a fare?», chiede un altro. La domanda fa discutere. Qualcuno borbotta, qualcuno annuisce, altri tacciono. Tutti hanno gli occhi fissi davanti all’ingresso, non vogliono correre rischi ma nulla si muove. Poi ai primi rinunciatari ne seguono altri. «Il presidente – dice uno imbracciando la sua bici pronto ad andarsene – lo vedrò per televisione».
ECCO IL MEIS
La lezione della storia: dialogo e integrazione
Aperta la mostra sui primi mille anni degli ebrei in Italia
di Alessandra Mura
Una mostra storica che racconta la rocciosa volontà di una minoranza di non farsi assimilare, di mantenere viva la propria diversità, e con essa lo scambio con altre culture. “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni” , l’esposizione inaugurale del Meis, è anche un monito contro il nuovo oscurantismo attraverso un percorso complesso e ricco di riferimenti testuali che si snoda tra gli spazi ritrovati delle ex carceri di via Piangipane. «Un luogo di segregazione che, per contrappasso, diventa un luogo di conoscenza e inclusione», ha esordito Dario Disegni, presidente del Meis.
Quello di via Piangipane diventa così, nell’intento degli organizzatori, il primo museo italiano sui rapporti tra minoranze e maggioranze, un tema più che mai attuale. «Nel modello classico duale – è intervenuto Daniele Jalla, curatore della mostra insieme a Anna Foa e Giancarlo Lacerenza – questo rapporto si risolve o nell’assimilazione o nell’eliminazione, ed entrambe portano alla scomparsa delle minoranze. Questa mostra vuole illustrare la terza via, quella dell’integrazione, la tenacia del popolo ebraico di mantenere la propria identità, e la necessità del riconoscimento dell’altro nella sua diversità, del dialogo e del rispetto reciproco. Non è la morale della mostra, perché le mostre non hanno morale, ma un pensiero che può farci più ricchi».
Al visitatore viene proposto un itinerario attraverso i primi anni degli ebrei d’Italia. Un lungo racconto scandito da oltre duecento oggetti preziosi tra cui venti manoscritti, sette incunaboli e cinquecentine, diciotto documenti medievali, quarantanove epigrafi di età romana e medievale, e 121 tra anelli, sigilli, monete, lucerne e amuleti.
Reperti di una storia mai abbastanza conosciuta, provenienti dai musei di tutto il mondo come la Genizah del Cairo, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, i Musei Vaticani, la Bodleian Library di Oxford, il Jewish Theological Seminary di New York e la Cambridge University Library.
Il lungo racconto dei primi anni degli ebrei nella nostra Penisola comincia illustrando al visitatore le zone di origine del popolo, perché mai come nell’ebraismo la geografia si intreccia con la storia. Al centro di questo primo quadro c’è Gerusalemme, la conquista romana della Giudea e la distruzione del Tempio nel 70 d.c. su ordine di Tito. Scandiscono le altre parti della mostra la Roma dell’età imperiale e della tarda antichità, la transizione dall’impero pagano a quello cristiano, lo sviluppo dell’ebraismo nell’Italia antica toccando tutta la Penisola da sud a nord per concludersi con il “Libro di viaggi” dell’ebreo navarrese Beniamino da Tudela, importante testimonianza delle comunità ebraiche del XII secolo.
«Abbiamo voluto privilegiare i contesti, gli oggetti sono esposti non solo per essere ammirati, ma per farci entrare in comunicazione con chi li ha realizzati, usati, vissuti. Le cose parlano delle persone», ha proseguito Jalla, che ha definito l’esposizione inaugurata ieri una «mostra di prefigurazione, una prova generale per capire se abbiamo lavorato nel modo giusto, e se questa è la strada da percorrere per le mostre future». Con la convinzione che «la scoperta e la conoscenza di una parte della nostra storia poco nota possa suscitare riflessioni che dal passato si riverberano inevitabilmente sul nostro presente».
I mille metri quadri, suddivisi in due piani, che ospitano “Ebrei, una storia italiana”, prefigurano infatti la prima sezione di questa straordinaria struttura “in progress”, destinata a essere completata entro il 2020 con la costruzione di cinque edifici moderni, caratterizzati da volumi che rimandano ai cinque libri della Torah, e dove troveranno spazio anche l’accoglienza al pubblico, il museum shop, una biblioteca, un archivio, un centro di documentazione e catalogazione, un auditorium, laboratori didattici, un ristorante e una caffetteria, a completare un complesso di respiro nazionale.
LA PRESENZA NELL’ITALIA SETTENTRIONALE
Scacciati dalla Spagna, accolti a Ferrara da Ercole I d’Este
La presenza ebraica in diverse città dell’Italia romana centro settentrionale – come Milano, Brescia, Bologna, Ravenna – non è documentata fino a IV secolo. Fa eccezione Aquileia con il suo territorio, dove gli Ebrei, la cui presenza è attestata dal I secolo dell’era volgare, costituiscono, con varie comunità di varia provenienza, una delle principali componenti di questo importante centro. Dal IV secolo in poi gli ebrei sono presenti sporadicamente in tutto il territorio centro settentrionale, ma da questo momento in poi la loro presenza aumenta significativamente, perché la politica persecutoria dei Bizantini induce molti ebrei a spostarsi dal Sud verso l’Italia centrale e settentrionale. Questo lento flusso migratorio getta le basi di molti insediamenti ebraici, di cui sono noti in particolare, dall’VIII secolo, Luni e Pavia, dal IX Asti e San Miniato, dal X Lucca, Treviso, Verona, Ancona. Le altre comunità sono posteriori all’XI-XII secolo. Altri ebrei varcano le Alpi contribuendo alla nascita delle comunità ashkenazite sul Reno. A Ferrara la presenza degli ebrei conobbe un significativo aumento a partire dal 1492, quando migliaia di ebrei sefarditi vennero espulsi da Spagna e Portogallo trovando accoglienza nel Ducato Estense con Ercole I d’Este. Nella città estense, così come a Mantova e a Venezia, gli ebrei conobbero due secoli di pace e prosperità.
Domande (e risposte) sul cibo
Il giardino del Meis guida ai prodotti kosher. Diatriba storica sullo storione
Nemmeno il ministro Franceschini ha resistito alla tentazione culinaria, citando di fronte al presidente Mattarella i cibi tradizionali ferraresi derivati dall’esperienza del ghetto, a testimonianza della profondità delle radici ebraiche nella nostra terra. «Il nostro storione e il caviale fanno parte della tradizione ebraica» ha ricordato il ministro, e si tratta di una verità storica che però contrasta con quanto riportato nel “Giardino delle domande” allestito proprio di fronte all’ingresso dell’edificio centrale del Meis. Il giardino contiene un percorso guidato, appunto da una serie di domande, verso i cibi kosher, cioè puri secondo l’interpretazione talmudica che deriva direttamente dalla Bibbia: lo storione, pesce coperto da scaglie grosse e non da squame propriamente dette, viene considerato impuro, come di conseguenza anche il suo prodotto derivato, cioè il caviale.
Si tratta di prodotti che storicamente venivano preparati e venduti nei negozi degli ebrei del ghetto e venduti assieme ad altre specialità come salami d’oca, buricche (pasta ripiena di carne lessa di vitellone o manzo, pollo o fegatini) e la bongola, rivisitazione della salama da sugo ferrarese; per non parlare dei cappellacci di zucca. Sullo storione, peraltro, si accesero dispute fin dal 18º secolo negli ambienti ebraici ferraresi, con conclusioni che non furono mai del tutto definite. La conseguenza è appunto che qui si è sviluppata una cucina a base di questo pesce tipico, almeno fino a qualche decennio fa, del Po, mentre in altre zone d’Italia lo storione è rimasto lontano dalle tavole delle comunità ebraiche. Si tratta di frammenti di storia dell’ebraismo italiano, con forti radici ferraresi, che dovrebbero in qualche maniera trovare posto nel Meis, anche quando il giardino sarà totalmente disallestito. Al posto del Giardino, infatti, il progetto del Meis prevede sorgano cinque nuovi edifici che richiamino i cinque libri della Torah, che dovrebbero rappresentare il cuore del futuro museo. I lavori cominceranno all’inizio del 2018 per arrivare a conclusione, secondo il cronoprogramma, entro il 2020, e per allora si avrà un quadro completo anche dei contenuti.
Usurai e avvelenatori. Una lunga guerra contro i pregiudizi
Lo spettacolo multimediale “Con gli occhi degli ebrei” invita a guardare la realtà da un’altra prospettiva
Immagina di dover lasciare tutto, la tua casa, i tuoi beni e scappare per non morire. Immagina di essere una bambina che improvvisamente non può più andare a scuola, senza capire il perché. Immagina lo stupore di essere, per la prima volta, un cittadino come tutti.
È un costante invito a mettersi nei panni degli altri, a guardare la realtà “Con gli occhi degli ebrei italiani” lo spettacolo multimediale curato da Giovanni Carrada (autore di Superquark) e dal direttore del Meis Simonetta Della Seta. Il filmato ripercorre in 24 minuti 2.200 anni di storia e cultura ebraica italiana, con l’obiettivo di introdurre la visita al Meis. Giovanni Carrada ebreo non è, ma proprio per questo – ha spiegato presentando il suo lavoro – ha voluto «mettersi nei panni altrui, un esercizio importante che proporremo ai visitatori dei museo, quello di immaginarsi come un italiano che a lungo non è stato considerato tale».
Un’avversità, e insieme una salvezza, quella di mantenersi ebrei «perché solo se hai qualcosa di diverso puoi donarlo agli altri». Una diversità che ha segnato l’intera storia ebraica. Puniti per non aver riconosciuto il Messia, esclusi, vessati e umiliati, il destino degli ebrei è cambiato infinite volte. Una tregua medievale, nel Sud Italia di Federico II di Svevia, dove prosperarono come tessitori e diventarono un ponte tra culture, grazie all’attività di scribi. Poi di nuovo al buio, con gli Angioini: basti pensare che a Napoli c’è una via che si chiama Scannagiudei. Si risale la penisola, ma in Comuni e Signorie gli ebrei sono esclusi dalle congregazioni e possono svolgere il solo mestiere vietato ai cristiani dalla Chiesa, quello dei prestatori di denaro, acquisendo fama di usurai, accumulatori di ricchezze e avvelenatori di pozzi. Finché papa Leone X nel 1515 con una bolla consente anche ai banchi di pietà di applicare gli interessi. Nel Rinascimento molte città, tra cui Ferrara, scoprono la cultura, la filosofia e la mistica ebraica ma altre nubi minacciose sono all’orizzonte, e l’intolleranza è sempre in agguato. Nel 1553 Giulio III fa bruciare le copie del Talmud, nel 1555 Paolo IV crea il ghetto di Roma e si aprono tre secoli oscuri.
Grande e generoso il contributo degli ebrei nelle lotte risorgimentali e durante la Prima guerra mondiale, ma con il nazifascismo nasce un antisemitismo nuovo, non più religioso ma politico: c’è bisogno di un nemico debole per sentirsi forti. Nel dopoguerra segnali di apertura, prima nel 1965 con il Consiglio Vaticano secondo e poi con la storica visita di Papa Wojtyla alla sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986, quando chiamò gli ebrei «fratelli maggiori». (a.m.)
LA MOSTRA
PERIODO D’APERTURA DAL 14 DICEMBRE 2017 AL 16 SETTEMBRE 2018 ORARI DAL MARTEDÌ AL MERCOLEDÌ E DAL VENERDÌ ALLA DOMENICA DALLE 10 ALLE 18; IL GIOVEDÌ DALLE 10 ALLE 23 CHIUSURA TUTTI I LUNEDÌ, 31 MARZO (PRIMO GIORNO DI PESACH), 10 SETTEMBRE (PRIMO GIORNO DI ROSH HASHANÀ) E 19 SETTEMBRE (KIPPUR) BIGLIETTO INTERO: 10 EURO. RIDOTTO (DAI 6 AI 18 ANNI COMPRESI, STUDENTI UNIVERSITARI, CATEGORIE CONVENZIONATE): 8 EURO GRUPPI DA 8 A 15 PERSONE: 6 EURO (UN ACCOMPAGNATORE GRATUITO OGNI 15 PAGANTI). SCUOLE: 5 EURO (DUE ACCOMPAGNATORI GRATUITI PER OGNI CLASSE).
INGRESSO GRATUITO
ENTRANO GRATUITAMENTE I BAMBINI SOTTO I 6 ANNI, I DIVERSAMENTE ABILI AL 100% CON UN ACCOMPAGNATORE, I GIORNALISTI E LE GUIDE TURISTICHE CON TESSERINO, I MEMBRI ICOM E I MILITARI IN DIVISA. OGGI ENTRATA GRATIS PER TUTTI I VISITATORI IN SEGNO DI OMAGGIO ALLA CITTÀ
ENTE PROMOTORE MUSEO NAZIONALE DELL’EBRAISMO E DELLA SHOAH-MEIS
CURATORI ANNA FOA, GIANCARLO LACERENZA, DANIELE JALLA
CATALOGO A CURA DI ANNA FOA, GIANCARLO LACERENZA, DANIELE JALLA, EDITO DA ELECTA
PATROCINI MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO, REGIONE EMILIA-ROMAGNA, COMUNE DI FERRARA, UNIONE DELLE COMUNITÀ EBRAICHE ITALIANE – UCEI
Obiettivo sensibile da presidiare. Chiesto un rinforzo di soldati
La storia “ufficiale” del Meis inizia oggi, senza che sia stato risolto il nodo relativo alla sicurezza. Il museo è protetto da una sorveglianza privata ed è oggetto di particolari attenzioni da parte delle forze dell’ordine impegnate sul territorio, ma essendo inserito nella lista nazionale degli obiettivi sensibili, a maggior ragione dopo le tensioni scatenate a livello globale dal riconoscimento Usa di Gerusalemme come capitale d’Israele, è in predicato di ottenere un presidio permanente di sicurezza. La questione era stata posta nei mesi scorsi dall’ex prefetto Michele Tortora, che aveva ipotizzato lo spostamento dei militari impegnati nel quartiere Gad proprio al Museo dell’ebraismo e della Shoah, una volta ufficializzata la sua apertura. La questione è delicata perché, in queste settimane, i militari hanno marcato in maniera visibile la loro presenza nelle zone battute dagli spacciatori, attorno al Grattacielo e all’Acquedotto, ottenendo a detta di residenti e osservatori risultati non tanto in termini di arresti o sequestri di droga (non ci sono peraltro dati ufficiali in merito), quanto di “deterrenza”.
Il nuovo prefetto Michele Campanaro, il giorno del suo insediamento, aveva fatto cenno alla questione-Meis, che però non è stata ufficialmente trattata nei tavoli della sicurezza. Risulta che il prefetto, abituato a contingenti molto più consistenti di militari impegnati nell’ordine pubblico nella Terra dei fuochi dove operava, abbia fatto richiesta di potenziare il nucleo “ferrarese”, composto da 12 uomini. Si può eventualmente ipotizzare, in attesa di una risposta su questo fronte, un impiego dell’attuale contingente più mirato sulla zona di via Piangipane e di via Darsena, allargando così l’area di pattugliamento, ma cambiare totalmente l’ambito operativo dei militari sembra in questo momento difficilmente praticabile. Se poi a primavera dovessero davvero arrivare i rinforzi delle forze dell’ordine promessi dal capo della Polizia, Franco Gabrielli, la coperta potrebbe rivelarsi sufficiente ad affrontare le nuove esigenze.