Jacopo del Sellaio (Firenze, 1442–1493), Ester davanti ad Assuero, Firenze, 1475-1480 ca., tempera su tavola. Budapest, Museum of Fine Arts

Una mostra dedicata a Purim, una delle feste più gioiose del calendario ebraico, e alla sua protagonista: la Regina Ester.

Opere d’arte rinascimentali e preziose pergamene raccontano la vicenda dell’eroina biblica Ester e di come riuscì a salvare il popolo ebraico sventando il piano di Aman, il consigliere del Re di Persia. Una storia senza tempo che ancora oggi ha tanto da trasmettere e che da secoli viene celebrata con banchetti, feste in maschera e rappresentazioni teatrali.

Spiccano nelle sale la “Ester davanti ad Assuero” (1475-1480 ca.) di Jacopo del Sellaio proveniente dal Museum of Fine Arts di Budapest e la tempera su tavola di Filippino Lippi, “Vashti lascia il palazzo reale” (1475 ca.), prestito del Museo Horne di Firenze.

Un grande ritorno è rappresentato dal rotolo in pergamena del Libro di Ester, prodotto nel XVII secolo a Ferrara, che arriva nella città estense grazie alla collaborazione con la National Library of Israel. Un approfondimento, inoltre, sulle tradizioni e le storie locali: da Livorno a Siracusa, da Padova a Roma.

Non manca una rilettura attuale con illustrazioni coinvolgenti e spazi interattivi grazie ai quali adulti e bambini potranno partecipare in prima persona sprigionando la loro creatività.

L’esposizione è a cura di Amedeo Spagnoletto, Olga Melasecchi e Marina Caffiero con la collaborazione di Sharon Reichel.

1. Vashti lascia il palazzo reale
1. Vashti lascia il palazzo reale

Filippino Lippi (Prato 1457 circa – Firenze 1504), Italia, 1475 ca. tempera su tavola. Firenze, Museo Horne.

2. Ester davanti ad Assuero
2. Ester davanti ad Assuero

Jacopo del Sellaio (Firenze, 1442–1493), Firenze, 1475-1480 ca., tempera su tavola. Budapest, Museum of Fine Arts

3. I numeri di Ester
3. I numeri di Ester

Tobia Ravà, I numeri di Ester, Venezia, 2023. Catalizzatore UV su alluminio, Courtesy Galleria d’Arte l’Occhio Venezia

4. L’editto di Aman
4. L’editto di Aman

Emanuele Luzzati (Genova 1921-2007), Genova, 2007 serigrafia firmata

5. Meghillat (rotolo) di Ester
5. Meghillat (rotolo) di Ester

Mosheh Ben Avraham Pescarol (Fine XVI – prima metà XVII secolo), Ferrara, 5377 (1616-1617), inchiostro e acquerello su pergamena avvolta su legno, Gerusalemme, The National Library of Israel

La mostra è realizzata in collaborazione con il Museo Ebraico di Roma. Gli enti partecipanti del MEIS sono il Ministero della Cultura, la Regione Emilia-Romagna, il Comune di Ferrara e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Ente sostenitore: Intesa Sanpaolo. La mostra gode inoltre del patrocinio del Comune dei Ferrara, della Comunità Ebraica di Ferrara e dell’Ambasciata d’Israele in Italia, con il contributo della Fondazione Guglielmo De Lévy, del Gruppo Hera, di Tper, Fondazione Palio Città di Ferrara ETS, Dimedia e Avis Provinciale e Comunale di Ferrara.

Come raccontare un intero secolo in una sola mostra?

I curatori Mario Toscano e Vittorio Bo raccolgono la sfida e propongono un’esposizione che, in sette sezioni, offre una panoramica dettagliata del Novecento attraverso la storia, l’arte e la vita quotidiana degli ebrei italiani.

Un progetto che illustra il complesso percorso prima di acquisizione della cittadinanza, poi di perdita e infine di riacquisizione dei diritti, da parte di una minoranza che si è riconosciuta e integrata nella società italiana.

Si inizia a fine Ottocento dopo lo smantellamento dei ghetti e si conclude all’alba del nuovo millennio, raccogliendo gli interrogativi dell’ebraismo contemporaneo. Non manca una riflessione sulla Shoah: lo strappo drammatico delle Leggi Razziali del 1938, la persecuzione e la deportazione.

La mostra è arricchita da opere d’arte contemporanea; fotografie provenienti da archivi pubblici e privati; documenti storici e oggetti di famiglia. Tante le storie raccolte che vi faranno scoprire e riscoprire figure dell’Italia ebraica: dall’arte di Olga e Corinna Modigliani; alle tele di Corrado Cagli fino ad Antonietta Raphaël Mafai, Rudolf Levy ed Emanuele Luzzati. Il pubblico potrà immergersi inoltre nei contenuti raccolti nel tavolo multimediale a cui è stato affidato il compito di rendere accessibili approfondimenti, materiali originali e prime edizioni, che contribuiscono a completare il mosaico della storia culturale del XX secolo.

1. Busto Eleonora Duse (con dedica a Sabatino Lopez)
1. Busto Eleonora Duse (con dedica a Sabatino Lopez)

Arrigo Minerbi, 1924, Bronzo, Collezione Privata

2. Teatrino del Tempio
2. Teatrino del Tempio

Emanuele Luzzati (1921-2007), Italia, anni ’90, incisione acquaforte, acquatinta, collage, pastello. Collezione privata

3. Foto di classe della 5° elementare della scuola ebraica di Cosala, rione di Fiume
3. Foto di classe della 5° elementare della scuola ebraica di Cosala, rione di Fiume

Ante giugno 1940 (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Stern Giulio, inv. 015-010)

4. Ritratto di un'allieva con il suo insegnante durante una lezione di maglieria nella sede O.R.T di Grugliasco (Torino)
4. Ritratto di un’allieva con il suo insegnante durante una lezione di maglieria nella sede O.R.T di Grugliasco (Torino)

1948 (Archivio Fondazione CDEC, © Bollettino della Comunità ebraica di Milano/ Fondo Fotografico Raoul Elia, inv. 133-s115-004)

5. Ritratto di Vanda Maestro
5. Ritratto di Vanda Maestro

1940 circa (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Antifascisti e partigiani ebrei, b. 12 , fasc. 265 – inv. 141-s265-001)

6. Ritratto di Primo Levi con il figlio Renzo
6. Ritratto di Primo Levi con il figlio Renzo

1963-1964 (Archivio Fondazione CDEC, Fondo Levi Anna Maria, inv. 363-001)

7. Luci nelle tenebre
7. Luci nelle tenebre

Tobia Ravà, Italia, 2022, Catalizzazione UV su alluminio specchiante opacizzato. Ferrara, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah.

8. Graffiti ad Aquisgrana
8. Graffiti ad Aquisgrana

Corrado Cagli, olio su carta e tela. Ferrara, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah

9. Tazza di Sylva Sabbadini deportata e sopravvissuta ad Auschwitz
9. Tazza di Sylva Sabbadini deportata e sopravvissuta ad Auschwitz

Norvegia, fabbrica Porsgrund, 1900 circa, Porcellana stampata con smalto. Ferrara, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah

10. Talled (scialle da preghiera ebraico) di Leone Leoni, rabbino di Ferrara, XX secolo
10. Talled (scialle da preghiera ebraico) di Leone Leoni, rabbino di Ferrara, XX secolo

Tessuto ricamato, Ferrara, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah

La mostra Ritorno a Ferrara. L’universo di Leo Contini Lampronti, curata da Hava Contini e Yael Sonnino-Levy, è un percorso che invita alla scoperta di un artista eclettico, ironico e immaginifico.
Nato nel 1939 a Nizza, ma originario di Ferrara, Leo Contini Lampronti si trasferisce a Tel Aviv dopo aver conseguito la laurea in ingegneria nucleare. Proprio in Israele, esplora e sperimenta forme e tecniche, dedicandosi completamente all’arte e confrontandosi con lingue, parole e mondi diversi.
La sua produzione spazia tra disegni, oggetti rituali ebraici, sculture, dipinti e creazioni originali, tra cui le tototomie, le anasculture e gli ARKS. Al centro dei suoi interessi, anche un legame indissolubile con la città dei genitori: la Ferrara, fisica e metafisica, che rivive in maniera giocosa e inedita sulle sue tele e mantiene intatto il suo fascino misterioso sospeso nel tempo.
Quello del MEIS è un omaggio all’artista scomparso nel 2020 che racconta anche un tassello della storia degli ebrei italiani nel Novecento.

1. Violino
1. Violino

Giaffa, 2009, acciaio inossidabile traforato al laser, tempera e acrilico, fondo in velluto, 66×95×10 cm, Collezione Bruno e Laura Contini

2. Strada del Ghetto di Ferrara
2. Strada del Ghetto di Ferrara

Ferrara, 1985, tempera su tela, 95×130 cm

1. Autoritratto veduta parziale
1. Autoritratto veduta parziale

Tel Aviv, 1984, tempera e olio su tela, 56×40 cm, Collezione Leo Contini Lampronti

Una mostra che ripercorre due millenni di storia e, attraverso l’esposizione di progetti, documenti e oggetti, racconta aspetti architettonici, rituali e sociali di sinagoghe e cimiteri ebraici in Italia.

Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia a cura di Andrea Morpurgo e Amedeo Spagnoletto viene ospitata dal 20 aprile al 17 settembre 2023 negli spazi del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara-MEIS.

La mostra, che intreccia storie di città e umanità, espone progetti architettonici, oggetti familiari, prestiti prestigiosi e preziosi documenti da archivi statali e comunità ebraiche e che ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica, prestigioso premio di rappresentanza, gode del sostegno del Ministero della Cultura, Ente Fondatore del MEIS; degli Enti Partecipanti Regione Emilia-Romagna, Comune di Ferrara e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dell’Ente Sostenitore Intesa Sanpaolo.

Patrocinata dalla Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia e della Comunità Ebraica di Ferrara  e realizzata con il contributo della Fondazione Guglielmo De Lévy, TPER, Hera, CoopAlleanza 3.0, AVIS e Fondazione Bottari Lattes, l’esposizione approfondisce in modo originale l’aspetto architettonico, rituale e sociale della sinagoga e del cimitero ebraico e, parallelamente, il rapporto tra luoghi sacri, la loro evoluzione e i cambiamenti che ha affrontato l’Italia in oltre duemila anni di storia dell’ebraismo italiano.

1. Interni della mostra
1. Interni della mostra

Foto di Luca Gavagna, Le immagini

2. Interni della mostra
2. Interni della mostra

Foto di Luca Gavagna, Le immagini

3. Interni della mostra
3. Interni della mostra

Foto di Luca Gavagna, Le immagini

4. Interni della mostra
4. Interni della mostra

Foto di Luca Gavagna, Le immagini

5. Interni della mostra
5. Interni della mostra

Foto di Luca Gavagna, Le immagini

Il nostro è un ritorno ad un tema molto caro per il museo: il concetto di casa.
Le sinagoghe, infatti, non sono unicamente destinate alle preghiere ma sono vere e proprie case della comunità, mentre il titolo della mostra prende in considerazione il nome con cui vengono designati i cimiteri nel mondo ebraico, Battè Chaim, ossia Case di Vita. Questi due luoghi, pur con le loro differenze, custodiscono da millenni le esistenze, le storie, i percorsi identitari. A differenza delle dimore private, in questi spazi l’autorappresentazione passa dalla dimensione del singolo a quella comunitaria e, proprio per questo, nella concezione ebraica diviene eternamente viva”.

Amedeo Spagnoletto – Curatore e Direttore MEIS

Le sale ricostruiscono un percorso che, attraverso la speciale lente della storia delle architetture, testimonia i momenti più complessi e quelli più felici della presenza ebraica in Italia. Dice il curatoreAndrea Morpurgo: “Affrontare il tema delle architetture ebraiche – sinagoghe e cimiteri – significa confrontarsi con spazi d’identità, in grado di restituirci un affascinante intreccio di racconti e memorie che è parte integrante e inscindibile della storia del nostro Paese”.

Dalla sinagoga di epoca romana di Ostia Antica a quelle rinascimentali adibite alla preghiera e allo studio, passando per quelle nascoste negli edifici dei ghetti del XVI secolo, la mostra attraverso disegni, documenti e oggetti straordinari ricostruisce le varie tappe evolutive degli spazi di culto ebraici.

Tra le opere in mostra un mahazor (formulario di preghiere) della seconda metà del XV secolo di area emiliano-romagnola esposto per la prima volta, l’Aron ha-Qodesh di Vercelli, armadio sacro per i rotoli della Torah prodotto in area piemontese nel XVII secolo all’epoca dei ghetti. E ancora, dopo l’Unità d’Italia, i progetti per la costruzione di nuove monumentali sinagoghe nelle principali città italiane, di cui la più celebre è sicuramente quella di Torino, la Mole Antonelliana, che doveva originariamente ospitare il tempio israelitico.

1. Machazor, formulario di preghiere
1. Machazor, formulario di preghiere

di rito italiano, area emiliano-romagnola, seconda metà sec. XV, manoscritto su pergamena, 27 x 20 cm, Zurigo, Collezione David and Jemima Jeselsohn, Ms Jeselsohn 11

Anche la vicenda dei cimiteri ebraici in Italia è complessa e travagliata e il suo percorso evolutivo fornisce una chiave di lettura utile a capire il rapporto tra gli ebrei italiani e i detentori del potere nelle diverse epoche: dalle antiche catacombe ebraiche di Roma e Venosa, ai prati o “ortacci” fuori dalle mura cittadine nel Medioevo, fino ad arrivare ai cimiteri israelitici realizzati a seguito dell’Emancipazione. I riti di sepoltura ebraici non smettono di incuriosire la società, tanto che il pittore Alessandro Magnasco, tra i massimi esponenti dello stile fantastico e grottesco, nel 1720 dipinge un Funerale ebraico, oggi al Musée d’art et d’historie du Judaïsme e in deposito permanente al Musèe du Louvre, che ha concesso l’opera in prestito per la mostra.

1. Sinagoga di Bologna, prospettiva interna
1. Sinagoga di Bologna, prospettiva interna

Ing. Guido Muggia, Bologna, 1951, Acquerello su cartoncino 32,5 x 41 cm, Collezione Avv. Muggia

Tra le opere esposte anche la colonna funeraria di Yehudah Leon Briel del 1772, fra i più illustri maestri dell’Italia ebraica tra Seicento e Settecento proveniente da Mantova, una delle culle della vita culturale, artistica e religiosa ebraica, e un prezioso seggio ligneo rivestito in bronzo che il banchiere e senatore Ugo Pisa commissionò nel 1887 allo scultore Mario Quadrelli per il reparto Israelitico del Cimitero Monumentale di Milano.

Il nostro auspicio è che attraverso questa mostra i visitatori possano riscoprire le città italiane sotto una nuova luce, apprezzare luoghi dalla bellezza ancora nascosta ai più, aprire nuove porte della conoscenza e ritrovare ancora una volta (e più vicino di quanto si creda!) un pezzo della propria storia.

Dario Disegni – Presidente MEIS

1. Funerale ebraico
1. Funerale ebraico

Alessandro Magnasco, Genova, 1720 circa, Olio su tela, 87 x 117 cm, Parigi, Musée d’art et d’histoire du Judaïsme – Deposito permanente dal Musée du Louvre

Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia è accompagnata da un programma di iniziative che coinvolgono tutta la città di Ferrara: grazie alla collaborazione con la Comunità Ebraica sarà infatti possibile, in via eccezionale, visitare le tre sinagoghe della città – destinate ai riti tedesco, italiano e fanese – attualmente chiuse al pubblico, ospitate all’interno dell’edificio in via Mazzini donato alla fine del Quattrocento da Ser Melli agli ebrei ferraresi. Il MEIS offrirà inoltre la possibilità di visitare il cimitero ebraico di via delle Vigne, locus amoenus la cui atmosfera unica è stata catturata da Giorgio Bassani nell’immortale Il giardino dei Finzi-Contini.

La mostra Sotto lo stesso cielo, curata da Amedeo Spagnoletto e Sharon Reichel, è dedicata a Sukkot, la festa ebraica delle capanne.

 

Sukkot è una delle principali ricorrenze del calendario ebraico: celebra la sopravvivenza degli ebrei nel deserto grazie alla provvidenza del Cielo e la precarietà della vita – rappresentata dalle capanne che costruirono (la sukkah) –, ma anche il forte legame con i ritmi della terra, la sostenibilità ambientale e la centralità dell’acqua. L’esposizione è dedicata agli aspetti religiosi, tradizionali, artistici e alla stretta connessione con la natura: un percorso originale che invita i visitatori, adulti e bambini, a partecipare attivamente, interagendo con ciò che vedono e ascoltano e contribuendo così all’arricchimento dei significati della mostra.

 

Al culmine del percorso, vengono presentati per la prima volta dieci pannelli lignei decorati con soggetti biblici, prodotti in area veneziana per una sukkah di fine XVIII o del XIX secolo, di proprietà dell’Abbazia di Praglia: opere d’arte di valore inestimabile sopravvissute alla loro natura effimera e rimaste per questo inaccessibili al grande pubblico.

Fino al 5 febbraio 2023, il MEIS ospita “Disegnare l’ebraico. Interpretazione artistica dell’Alef Bet”, la mostra che costituisce il culmine del progetto per la promozione della conoscenza dell’ebraico realizzato in collaborazione con l’Ambasciata d’Israele in Italia e l’Istituto Europeo di Design di Roma.

Nel padiglione d’accesso del suo edificio, nel suggestivo Giardino delle Domande, potrete ammirare le 27 illustrazioni firmate da 16 studenti e due docenti dello IED di Roma, rielaborazioni originali delle lettere dell’alfabeto ebraico. Ogni lettera è accompagnata da un testo di approfondimento dedicato ai significati nascosti e all’origine dell’ispirazione che ha portato alla realizzazione dei disegni. Tanti i riferimenti culturali e i parallelismi che sono alla base dei lavori: dai personaggi dei Tarocchi alla Kabbalah, dai Re di Israele alle ultime invenzioni scientifiche.

Le illustrazioni sono il frutto di workshop e incontri dedicati alle diverse sfaccettature della lingua ebraica, indirizzati agli studenti del secondo anno del corso di Illustrazione e Animazione dello IED. Le lezioni hanno visto la partecipazione di S.E. Dror Eydar, Ambasciatore di Israele in Italia; Smadar Shapira e Maya Katzir, rispettivamente Consigliere per gli Affari Pubblici e Addetta Culturale dell’Ambasciata d’Israele in Italia, di Amedeo Spagnoletto, Direttore del MEIS e Sofèr (parola ebraica con cui si indica lo scriba di testi sacri ebraici), e di Ely Rozenberg, designer israeliano e Coordinatore dei corsi di Design alla Rome University of Fine Arts (RUFA).

 «Abbiamo deciso di ospitare la mostra Disegnare l’ebraico – spiega il Direttore Amedeo Spagnoletto – per diverse ragioni. Vogliamo ricordare come l’ebraico sia sopravvissuto, nonostante la dispersione del popolo per due millenni, grazie alla tenacia di una diaspora che ha mantenuto intatto il rapporto con la lingua biblica, facendone uno dei pilastri della propria identità di generazione in generazione e custodendo l’alfabeto come un tesoro. Quest’anno ricorre inoltre il centenario della scomparsa del giornalista e filologo Eliezer Ben Yehuda, padre della rinascita della lingua ebraica tra fine Ottocento e inizio Novecento. Adottato da un Paese, Israele, l’ebraico è oggi parlato e scritto da milioni di persone. Un fenomeno culturale che ha dell’incredibile e ha pochissimi casi simili nella storia».

«La mia è la prima generazione in famiglia che ha potuto apprezzare la letteratura per bambini in ebraico. La prima generazione che, prima di addormentarsi, ha ascoltato ninne nanne in ebraico, che usa l’ebraico come unica lingua di comunicazione con i propri genitori e nonni. Agli occhi dei miei nonni, noi, la nuova generazione di israeliani che parlano ebraico come madrelingua, siamo i veri israeliani; per loro, siamo un sogno che si avvera. La lingua ebraica ha svolto un ruolo centrale nella rivoluzione sionista e nei processi che hanno portato alla creazione della patria nazionale del popolo ebraico, lo Stato di Israele».

Smadar Shapira, Consigliere per gli Affari Pubblici dell’Ambasciata di Israele in Italia

«Collegare il contemporaneo segnico di un gruppo di giovani artisti alla tradizione millenaria del racconto e della cultura ebraica: è stata questa la sfida con la quale studenti e docenti si sono mossi insieme per settimane, aiutati da cultori e designer, in un viaggio che si è rivelato simile a una immersione in storie non scritte, fatti storici, miti e spazi creativi inesplorati. E come in qualsiasi progetto, o viaggio, si è passati da uno smarrimento iniziale alla individuazione progressiva di un percorso individuale, personalizzato su ogni lettera o segno, restituito nel suo sguardo complessivo dalla mostra qui rappresentata».

Max Giovagnoli, Coordinatore della Scuola di Arti Visive IED di Roma

Tombino d’artista

Esposto nel giardino del MEIS e come ulteriore collegamento con Israele c’è anche un tombino d’artista che racconta in maniera insolita le tante attrazioni della città Tel Aviv-Giaffa.

Nel 2020 la compagnia israeliana Mei Avivim ha indetto un concorso rivolto ai designer per riprogettare le coperture dei tombini della città di Tel Aviv-Giaffa. Ad aggiudicarsi il primo premio è stata la giovane Anna Stylianou che ha inserito sul suo tombino alcuni dei simboli più emblematici della metropoli: le palme, le biciclette, l’iconica fontana di Dizengoff, la torre dell’orologio di Giaffa e molto altro.

Dopo l’esposizione al MEIS, il prototipo entrerà a far parte della collezione del Museo Internazionale delle Ghise di Ferrara ideato da Stefano Bottoni nel 2003.

Una mostra per raccontare uno dei riti più antichi e affascinanti dell’ebraismo: il matrimonio.

“Mazal Tov! Il matrimonio ebraico”, curata da Sharon Reichel e Amedeo Spagnoletto e allestita dall’Architetto Giulia Gallerani, verrà inaugurata al Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara-MEIS è rimasta visitabile dal 4 giugno al 5 settembre 2021. Ora la mostra continua ad essere fruibile online.

L’esposizione, che ha il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Ferrara, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Comunità Ebraica di Ferrara, è stata realizzata grazie al sostegno del Ministero dell’Istruzione, dell’Istituto di Storia Contemporanea-Isco di Ferrara e del Liceo “Antonio Roiti” e al contributo di DiMedia, Gruppo Hera, Fondazione Bottari Lattes e Fondazione Ebraica Marchese Cav. Guglielmo De Lévy.

“Dopo mesi di chiusura forzata a causa dell’emergenza sanitaria – spiega Dario Disegni, Presidente del MEIS – abbiamo deciso di inaugurare la riapertura del MEIS con una mostra gioiosa, un vero e proprio ‘invito a nozze’. Il matrimonio è una pietra miliare per l’ebraismo, simboleggia la continuità dei riti e delle tradizioni ed è contrassegnato da una cerimonia vitale e ricca di significati. Abbiamo scelto di esplorare un tema che, sono certo, soddisferà la curiosità di moltissimi visitatori”.

Aggiunge il Direttore Amedeo Spagnoletto: “Abbiamo voluto offrire ai visitatori una mostra che facesse bene al cuore. Il matrimonio rappresenta uno dei più profondi atti di amore e di fiducia nei confronti del futuro e porta con sé un messaggio di speranza universale, un balsamo per i tempi complessi che ci troviamo a vivere. ‘Mazal Tov!’ è una esposizione che racchiude in sé il passato e il presente, riti millenari e pratiche moderne e, pur nella sua specificità, riuscirà a coinvolgere chiunque verrà a visitarla”.

L’allestimento

Ieri, oggi, domani: il matrimonio ebraico si nutre di precetti e riti del passato, è l’emblema della continuità, affonda le sue radici nella Bibbia; eppure convive con un presente vibrante, dialoga con la cultura nella quale è immerso, segna la nascita di una nuova famiglia. “Mazal Tov!” racconta proprio questo equilibrio tra antico e moderno, accostando preziosi documenti ad opere di arte contemporanea. Al centro ci sono decine di storie; frammenti di discorsi amorosi lunghi secoli e fissati per sempre attraverso oggetti; atti; scatti.

Le prime sale illustrano le due fasi e le pratiche che compongono il cerimoniale nuziale: i Qiddushin (o Erusin) e i Nissuin. Anticamente celebrati separatamente, essi si svolgono attualmente insieme, uno immediatamente conseguente all’altro. A renderli caratteristici, l’ambientazione sotto la chuppah, il baldacchino di tessuto che unisce simbolicamente sotto lo stesso tetto i due sposi; la firma della Ketubbah, l’atto nuziale nato anche con lo scopo di tutelare i diritti della donna e che con il tempo è stato arricchito da finissime decorazioni, e la rottura del bicchiere, immortalata da tantissimi film e immagini. Per raccontare in maniera chiara ed esaustiva tutti i passaggi si è scelto di accostare opere e strumenti comunicativi diversi: in mostra verranno esposte le preziose Ketubbot del ‘600 e del ‘700 custodite dalle Gallerie Estensi di Modena (Biblioteca Estense Universitaria); il teatrino dell’artista genovese Emanuele Luzzati proveniente dal Museo Ebraico di Bologna e il filmato di un matrimonio contemporaneo. L’esposizione prosegue con una riflessione sul riconoscimento del matrimonio ebraico da parte dello Stato Italiano e il racconto – attraverso cimeli di famiglia – delle tradizioni che con il tempo hanno caratterizzato le nozze: la dote, i regali per lo sposo e per la sposa (che possono variare da una edizione completa del Talmud ad un orologio griffato) e la produzione di componimenti d’occasione.

Tra gli esemplari in mostra, un oggetto con una storia tutta da riscoprire: l’album di dediche realizzato dal drammaturgo Sabatino Lopez in onore delle nozze di suo fratello Corrado e della moglie Ada Sadun. Critico letterario e commediografo di successo nella Milano di inizio ‘900, Lopez decise di donare ai due sposi un regalo del tutto originale: un albo decorato con le firme di amici e colleghi d’eccezione. Tra le pagine spiccano infatti testi autografi – tra gli altri – di Giovanni Pascoli; Giovanni Verga, Giosuè Carducci; Eleonora Duse; Giacomo Puccini; Federico De Roberto e tantissimi altri protagonisti della letteratura e del teatro italiano.

Ad arricchire la mostra anche delle opere di arte contemporanea: Sigalit Landau firma “Salt Crystal Bridal Gown”, un progetto in collaborazione con il fotografo Yotam From – che segue il processo di cristallizzazione di un abito nero immerso nel Mar Morto ed è ispirato all’opera “Il Dibbuk” di S. Ansky, la storia di una giovane sposa posseduta da uno spirito.

Florah Deborah, francese di nascita e milanese di adozione, rielabora e fa comprendere al visitatore il mikveh, il bagno rituale in apposite vasche piene di acqua piovana o sorgiva che compiono le donne alla vigilia del matrimonio. La sua opera “Una per Tutte, Tutte per Una” è stata realizzata appositamente per il MEIS. 

L’opera su tela di Jenny Hassan, artista romana, si concentra sul calice degli sposi. La frase che la incornicia è un verso del salmo 137 che viene pronunciato ad alta voce durante la rottura del bicchiere in ricordo della distruzione dell’antico Tempio di Gerusalemme.

“In questa mostra – spiega l’Architetto Giulia Gallerani, che si è occupata dell’allestimento – ci sono le tradizioni e i caratteri tipici del matrimonio ebraico, con le sue peculiarità specifiche ed uniche, ma ci sono anche le storie delle persone che hanno posseduto alcuni degli oggetti in mostra e le emozioni di chi ci ha regalato fotogrammi del proprio giorno più bello. Perché, anche se le tradizioni possono essere diverse, la gioia di condividere un momento di felicità è la stessa per tutti”. Non può mancare infatti uno spazio che faccia immergere nel matrimonio ebraico celebrato nei nostri giorni: il MEIS ha lanciato nelle scorse settimane la call to action “Un amore da condividere” per raccogliere foto di coppie di sposi italiani che saranno esposte in mostra; un viaggio visivo dagli anni ’30 del ‘900 al 2000 inoltrato. Un progetto arricchito anche dalle foto storiche dell’archivio della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano-CDEC, preziosa risorsa che racconta la vita degli ebrei italiani nel primo Novecento. I video creeranno inoltre un’esperienza immersiva coinvolgendo lo spettatore e facendogli vivere la gioiosa atmosfera dei festeggiamenti; mentre oggetti effimeri, bomboniere e inviti testimonieranno il presente di un rito che ha migliaia di anni.

“Con questa mostra – conclude la curatrice Sharon Reichel – abbiamo voluto approfondire la relazione che lega gli oggetti alle persone e, insieme ai manufatti storici, abbiamo deciso di aprire alcune finestre sulla contemporaneità per far capire in modo tangibile come l’ebraismo sia una religione e una cultura viva. Spesso i visitatori che si avvicinano al nostro museo parlano degli ebrei al passato, noi vogliamo che inizino a farlo anche al presente e, perché no, al futuro”.

La narrazione, che si apre con un viaggio immersivo nel deserto, prosegue nelle sale dedicate ai principali periodi storici. La mostra permanente è stata concepita prevedendo l’utilizzo di molteplici strumenti comunicativi: reperti ed opere d’arte in prestito da musei italiani convivono con riproduzioni fedeli e contenuti multimediali. A guidare il visitatore sono storici, archeologi ed ebraisti che appaiono in video e approfondiscono le molteplici tematiche trattate.

quote-icon

Da sempre si ripete che la presenza degli Ebrei in Italia è più che bimillenaria e che, in questo lungo arco temporale, è stata sostanzialmente ininterrotta. In effetti, nessun altro luogo della Diaspora occidentale può vantare una frequentazione ebraica che sia al contempo così antica, diffusa e costante.

Anna Foa, Giancarlo Lacerenza dal catalogo “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni” (ed. Electa)

Un percorso in continua evoluzione

Il percorso è il risultato del dialogo armonico tra tre mostre temporanee, “Ebrei una storia italiana. I primi mille anni”, a cura di Anna Foa, Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla,  “Il Rinascimento parla ebraico”, a cura di Giulio Busi e Silvana Greco e “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori”, a cura di Andreina Contessa, Simonetta Della Seta, Carlotta Ferrara degli Uberti e Sharon Reichel.

L’esposizione, in continua evoluzione, si arricchisce di nuovi oggetti e storie e nei prossimi anni arriverà a raccontare la storia degli ebrei italiani fino alla contemporaneità.

Una storia italiana che inizia nell’Antica Roma

Attraverso i contributi video di esperti, oggetti, pause immersive, video multimediali, ricostruzioni (il Tempio di Gerusalemme, l’Arco di Tito, le catacombe ebraiche, le sinagoghe di Ostia e Bova Marina), il percorso individua le aree di origine del popolo ebraico e ripercorre le rotte dell’esilio verso il Mediterraneo occidentale. Documenta la permanenza a Roma e nel sud Italia, parla di migrazione, schiavitù, integrazione e intolleranza religiosa, in rapporto sia al mondo pagano che a quello cristiano.

Il Rinascimento parla ebraico

Il viaggio del MEIS prosegue con la trasformazione della presenza ebraica in Italia nel Medioevo l’arrivo di nuovi flussi migratori dal nord Europa e dalla Spagna. Il percorso espositivo termina con le sale dedicate alla fioritura culturale del Rinascimento, periodo durante il quale l’ebraismo è riconosciuto dagli intellettuali umanisti come fonte di inestimabile conoscenza, e l’istituzione dei ghetti, a partire dal 1516 con la nascita di quello di Venezia. Un viaggio lungo secoli alla scoperta della storia del Paese.

quote-icon

Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario

Primo Levi

A partire dall’istituzione del primo ghetto nella Venezia del 1516, seguito poi da quello di Roma e delle altre città, gli ebrei dovettero misurarsi con questo luogo circoscritto e ambivalente, che li includeva nel perimetro urbano e allo stesso tempo li isolava.

Per quasi tre secoli fu questo lo spazio entro il quale gli ebrei coltivarono la propria identità, preservando da un lato i caratteri di una cultura millenaria, ma attingendo dall’altra al mondo che si apriva oltre quel confine: la relazione continua fra il “dentro” e il “fuori” le mura del ghetto segna la vita degli ebrei nel lungo cammino verso l’emancipazione. A questa realtà così complessa e articolata è dedicato la mostra e il catalogo (già disponibile), che si avvale di un ricchissimo apparato critico per affrontare sotto ogni angolazione – storica, artistica, sociologica – una problematica fortemente attuale: i concetti di resilienza, integrazione, confronto fra culture, aspirazione a essere uguali pur rimanendo diversi, sono temi che la società odierna continuamente ripropone, riaccendendo con essi il dilemma dei ghetti.

Comprenderne il ruolo in una prospettiva identitaria è lo scopo cui mira la mostra e la pubblicazione, che ripercorre questa peculiare condizione vissuta dagli ebrei europei, e italiani in particolare, tra il XVI e il XIX secolo nella convinzione che la storia ebraica possa trasmettere valori universali e offrire strumenti utili per il presente.

L’esposizione, che ripercorre i momenti cruciali della storia moderna visti dalla prospettiva dell’esperienza ebraica, viene costruita e raccontata attraverso materiali e opere eterogenee provenienti da tutta Italia e dall’estero, come l’imponente dipinto Ester al cospetto di Assuero di Sebastiano Ricci – prestito del Palazzo del Quirinale –, Interno della sinagoga di Livorno di Ulvi Liegi e il Ritratto di Giuseppe Garibaldi ad opera di Vittorio Corcos (entrambi provenienti dal Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno).

1. Ester davanti ad Assuero (1733), Sebastiano Ricci
1. Ester davanti ad Assuero (1733), Sebastiano Ricci

Roma, Palazzo del Quirinale. Crediti fotografici: Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica – Foto Giuseppe Schiavinotto, Roma

2. Vittorio Corcos, Ritratto di Giuseppe Garibaldi
2. Vittorio Corcos, Ritratto di Giuseppe Garibaldi

Parigi, 1882. Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori

Ma peculiare di questo progetto espositivo è stata la volontà di integrare il percorso con oggetti che testimoniano la vita ebraica quotidiana, come la porta dell’Aron Ha-Qodesh, l’Armadio sacro dorato in legno intagliato, di una delle sinagoghe del ghetto di Torino che venne donato nel 1884 dalla Università Israelitica locale al Museo Civico di Torino, o le testimonianze di impegno personale, rappresentate per esempio dal baule della crocerossina Matilde Levi in Viterbo. Si snoda così il pensiero alla base della mostra e dell’intero Museo, che affianca a un rigoroso approccio storico e a un significativo riferimento all’arte, contributi di taglio sociologico, aprendo anche alla dimensione individuale e personalissima, che risuona ancora oggi di grande attualità.
Attraversando i secoli si arriva fino all’Unità d’Italia e alla Prima Guerra Mondiale, data conclusiva del periodo analizzato, restituendo un’immagine nitida degli snodi identitari vissuti dagli ebrei in Italia e in Europa, uscendo dal ghetto per partecipare attivamente e con convinzione alla Storia nazionale in tutti i suoi passaggi fondativi, prima di essere rinchiusi nuovamente – col fascismo – in un “dentro” di privazione di diritti e di orrore.

1. Aron Ha-Qodesh, porta a due battenti, fine del XVIII-inizio del XIX secolo
1. Aron Ha-Qodesh, porta a due battenti, fine del XVIII-inizio del XIX secolo

Torino, Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, in comodato alla Sinagoga della Comunità Ebraica di Torino

1. Baule della crocerossina Matilde Levi in Viterbo
1. Baule della crocerossina Matilde Levi in Viterbo

Crediti: foto di Marco Caselli Nirmal

La mostra è realizzata con il sostegno di Intesa Sanpaolo, The David Berg Foundation, Fondazione Guglielmo De Lèvy, TPER e il patrocinio del Ministero della cultura, della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Ferrara, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Comunità Ebraica di Ferrara. Si ringraziano la Fondazione CDEC e il compianto Ambasciatore Giulio Prigioni.

 

Apre al MEIS dal 12 aprile al 22 settembre la mostra Il Rinascimento parla ebraico, a cura di Giulio Busi e Silvana Greco.

L’esposizione affronta uno dei periodi cruciali della storia culturale della Penisola, decisivo per la formazione dell’identità italiana, svelandoci un aspetto del tutto originale, quale la presenza degli ebrei e il fecondo dialogo culturale con la cultura cristiana di maggioranza.

Opere pittoriche come la Sacra famiglia e famiglia del Battista (1504-1506) di Andrea Mantegna, la Nascita della Vergine (1502-1507) di Vittore Carpaccio e la Disputa di Gesù con i Dottori del Tempio (1519-1525) di Ludovico Mazzolino, Il profeta Elia e Il profeta Eliseo di Stefano di Giovanni di Consolo detto il Sassetta, dove spuntano a sorpresa significative scritte in ebraico. Manoscritti miniati ebraici, di foggia e ricchezza rinascimentale, come la Guida dei perplessi di Maimonide (1349), acquistato dallo Stato italiano meno di un anno fa. O l’Arca Santa lignea più datata d’Italia, mai rientrata prima da Parigi, o il Rotolo della Torah di Biella, un’antichissima pergamena della Bibbia ebraica, ancora oggi usata nella liturgia sinagogale.

Nel Rinascimento gli ebrei c’erano ed erano in prima fila, attivi e intraprendenti. A Firenze, Ferrara, Mantova, Venezia, Genova, Pisa, Napoli, Palermo e ovviamente Roma. A periodi alterni accolti e ben visti, con un ruolo non secondario di prestatori, medici, mercanti, oppure oggetto di pregiudizio. Interpreti di una stagione che racchiude in sé esperienze multiple, incontri, scontri, momenti armonici e brusche cesure. Il MEIS racconta per la prima volta questo ricco e complesso confronto, grazie anche alla coinvolgente scenografia concepita dai progettisti dello Studio GTRF Giovanni Tortelli Roberto Frassoni.

Ricostruire tale intreccio di reciproche sperimentazioni significa riconoscere il debito della cultura italiana verso l’ebraismo ed esplorare i presupposti ebraici della civiltà rinascimentale. E significa ammettere che questa compenetrazione non è sempre stata sinonimo di armonia, né di accettazione priva di traumi, ma ha comportato intolleranza, contraddizioni, esclusione sociale e violenza ai danni del gruppo ebraico, impegnato nella difficile difesa della propria specificità.

Con questa nuova narrazione il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara segna un passaggio cruciale della propria offerta al grande pubblico. Non solo perché la mostra costituisce un ulteriore capitolo del racconto dell’ebraismo italiano (dopo quello sui primi mille anni, oggi trasformato in prima parte del percorso permanente), ma anche perché questa nuova sezione tocca il cuore della missione del MEIS: testimoniare il dialogo complesso ma possibile, talvolta fruttuoso, pur non privo di ombre, tra minoranza e maggioranza. Una lezione preziosa che l’Italia raccoglie dalla sua storia per offrirla al presente, a un’Europa sempre più multiculturale e chiamata a interrogarsi sulle proprie radici.

Il Rinascimento parla ebraico è organizzato dal MEIS, con il patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali, della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Ferrara, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – UCEI e della Comunità ebraica di Ferrara.

Sponsor: Intesa Sanpaolo, Fondazione Ebraica Marchese Cav. Guglielmo De Levy, TPER, Leonardo, Coop Alleanza 3.0, Bonifiche Ferraresi.

Si ringrazia l’Ambasciatore Giulio Prigioni per il generoso contributo in memoria della figlia Francesca.

Si ringrazia Alessandro Treves per aver sostenuto i restauri dell’Arca Santa e del pulpito.

Si ringrazia la famiglia Norsa Pesaro.

Si ringrazia la Galleria Doria Pamphilj di Roma per il prestito del Cristo e i Dottori di Ludovico Mazzolino. Per maggiori informazioni sulla Galleria segui il link  https://www.doriapamphilj.it/roma/

Si ringrazia Assicurazioni Generali per la collaborazione organizzativa.

La mostra può essere visitata fino a domenica 22 settembre 2019, dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 18.00. Negli stessi orari sono attivi il bookshop e i laboratori didattici.

Biglietto intero: € 10,00; ridotto: € 8,00 (dai 6 ai 18 anni compresi, studenti universitari e possessori di MyFE Card); gruppi da minimo 15 persone: € 6,00 (ogni 20 paganti, un accompagnatore entra gratis); famiglie composte da almeno 1 adulto e 1 minore tra i 6 e i 14 anni: € 6,00; università e scuole (minimo 15 persone, da lunedì a venerdì): € 5,00 (2 docenti o accompagnatori gratuiti per ogni gruppo); ingresso gratuito: bambini sotto i 6 anni, diversamente abili al 100% con un accompagnatore, giornalisti e guide turistiche con tesserino, membri ICOM e militari in divisa.

Il biglietto è valido per tutto il percorso espositivo (mostre sui primi mille anni di ebraismo italiano e sul Rinascimento), per lo spettacolo multimediale Con gli occhi degli ebrei italiani, per Lo Spazio delle Domande, il Giardino delle Domande e il docufilm Eravamo Italiani sui sopravvissuti italiani alla Shoah.

Catalogo bilingue Silvana Editoriale acquistabile anche online

Bibliografia

Ebrei e Rinascimento: il territorio italiano

Storia degli ebrei nell’Italia moderna. Dal Rinascimento alla Restaurazione
Carocci, 2014
Editore
Marina Caffiero

Le comunità ebraiche nell’Italia moderna erano numerose e per la maggior parte, a partire dal 1516 con il prototipo di Venezia, erano rinchiuse in un ghetto, “invenzione” della Controriforma cattolica. In nessun altro paese europeo la Chiesa e il papato riuscirono a conseguire un simile successo, che indica la persistenza di una politica di esclusione, ma che ebbe anche l’esito paradossale di mantenere una identità precipua rimasta sempre, tra varie oscillazioni, sostanzialmente compatta. Le vicende delle comunità italiane possono essere ben comprese solo entro un più vasto sistema relazionale europeo, anzi mondiale, di popolazioni ebraiche, trattandosi di una storia fatta di immigrazioni; una storia da analizzare inoltre all’interno della rete di relazioni con il contesto non ebraico. Ben prima dell’emancipazione tardo settecentesca e ottocentesca e della fine del sistema dei ghetti, infatti, si realizzarono legami, scambi, interazioni tra società ebraica e società cristiana. La vicenda degli ebrei italiani fa dunque parte integrante della storia d’Italia e dei suoi snodi ed è significativa di una realtà oggi attualissima: quella della difficile convivenza di religioni e culture diverse e dei problemi legati al rapporto con le minoranze e con le alterità.

Marina Caffiero
Il ghetto ebraico. Storia di un popolo rinchiuso
Giunti Barbera, 2021
Editore
Michele Luzzati

La lunghissima storia della segregazione del popolo ebraico ha conosciuto molte diverse fasi, non tutte riconducibili sotto l’etichetta sin troppo abusata di “ghetto”. Istituzione tardo-medievale, al tempo stesso imposta dalle autorità civili e religiose, o sollecitata come elemento di protezione dagli ebrei stessi, il ghetto trovò la sua piena realizzazione a partire dal Cinquecento nei paesi dell’Europa occidentale e in particolare in Italia, dove, nell’età della Controriforma, si ebbe la sua più capillare diffusione. I complessi meccanismi della società del ghetto sono esaminati accuratamente nel dossier di Luzzati, con il supporto di una documentazione abbondante e precisa.
[allegato a “Storia e Dossier”, n. 13, dicembre 1987]

Michele Luzzati
Il Rinascimento parla ebraico
SilvanaEditoriale, 2019
Editore
Giulio Busi, Silvana Greco (a cura di)

ACQUISTA ONLINE EDIZIONE IN LINGUA ITALIANA

ACQUISTA ONLINE EDIZIONE IN LINGUA INGLESE

Il Rinascimento parla ebraico, a cura di Giulio Busi e Silvana Greco, racconta una straordinaria stagione intellettuale. È il periodo dei fermenti artistici, della vita elegante delle corti. La Penisola italiana pullula di idee, di nuovi slanci creativi e gli ebrei, che in Italia vivono dall’età romana, partecipano attivamente a questa atmosfera. Per la prima volta a livello internazionale, la mostra del MEIS di Ferrara raccoglie alcuni dei capolavori dell’arte in cui la lingua ebraica occupa un posto centrale e l’ebraismo è spunto d’ispirazione e icona di sapienza. Ma non sono solo luci. Accanto agli incontri e agli influssi reciproci, il percorso espositivo e i saggi raccolti nel catalogo esplorano gli scontri, le polemiche, le discriminazioni. Non c’è Rinascimento italiano senza ebraismo. E non riusciremmo a immaginare l’ebraismo italiano senza il Rinascimento.

Giulio Busi, Silvana Greco (a cura di)
Umanesimo e cultura ebraica nel Rinascimento italiano
Pontecorboli, 2016
Editore
a cura di Stefano U. Baldassarri e Fabrizio Lelli

Per mettere alla prova la veridicità dell’etichetta “Rinascimento italiano” può essere utile l’analisi di elementi che contribuirono dall’esterno al rinnovamento intellettuale avvenuto nella nostra penisola all’inizio dell’età moderna; si tratta di fattori culturali che apparentemente esulano dal contesto erudito considerato centrale per gli interessi del periodo in esame. In effetti, le discipline studiate dai dotti italiani del ‘400 e ‘500 non si differenziarono molto da quelle dei loro predecessori. In quest’ottica l’apporto del giudaismo può divenire una “cartina di tornasole” del grado di rinnovamento intellettuale all’interno della società italiana quattro-cinquecentesca. Pur essendo stata sempre minoritaria, fin dall’antichità la componente ebraica nella penisola italiana è stata attiva nelle mediazioni tra culture diverse, impegnata nella ricerca costante di un dialogo o di un equilibrio con la maggioranza: da un lato opera sapientemente per mantenersi nel solco della tradizione, dall’altro adotta temi e strutture mentali esterne per restare al passo con i tempi.

a cura di Stefano U. Baldassarri e Fabrizio Lelli

Ebrei e Rinascimento nelle storie locali

Gli ebrei del Finale nel Cinquecento e nel Seicento
Giuntina, 2005
Editore
Maria Pia Balboni

“Con il resoconto della sua esplorazione degli archivi degli Stati Estensi, alla ricerca di tutte le notizie che consentissero di costruire un quadro il più possibile completo della vita degli Ebrei del Finale nel Cinquecento e nel Seicento, Maria Pia Balboni fa compiere al lettore un balzo indietro nel tempo di alcuni secoli… Ma una prima riflessione si affaccerà […] alla mente di chiunque abbia la fortuna di avere tra le mani questo libro piuttosto straordinario, frutto di un impegno di lavoro protrattosi per molti anni, impossibile se l’autrice-esploratrice non fosse stata motivata, oltre che da intelligenza ed istinto, da un singolare amore per la sua terra, e da una sorta di curioso affetto per i protagonisti di questa storia: i membri della “Università ebraica” del Finale, che non esiste più.” (dalla Prefazione di Arrigo Levi)

Maria Pia Balboni
Gli ebrei a Forlì (tra il XIV° e il XVI° sec.). Tesi di laurea in Storia Moderna
stampa Youcanprint, 2013
Editore
Daurija Campana

Una tesi di laurea, frutto di ricerche presso l’Archivio di Stato di Forlì e presso le biblioteche Classense di Ravenna, Malatestiana di Cesena, Aurelio Saffi di Forlì relazionata il 25 Novembre 2003 presso i locali della Facoltà di Lettere Moderne dell’Università degli Studi di Bologna, con cui l’autrice cerca di ricostruire la quotidianità degli abitanti della città di Forlì tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età Moderna parallelamente a quella della piccola comunità ebraica che viveva nella stessa città, mettendone in luce rapporti di scambio e lavoro, relazioni, coabitazione degli stessi edifici, integrazione e ghettizzazione.
Relatore prof. Valerio Marchetti, anno accademico 2002/2003

Daurija Campana
L’individuo e la collettività: saggi di storia degli ebrei a Padova e nel Veneto nell’età del Rinascimento
Olschki, 2002
Editore
Daniel Carpi

Una raccolta di saggi su vari aspetti della vita culturale e delle attività sociali ed eco nomiche degli ebrei in alcune località del Veneto e in particolare a Padova, in un periodo compreso tra la seconda metà del Trecento e la prima metà del Cinquecento. Vengono trattate le vicende concernenti alcune famiglie che ebbero un ruolo di particolare importanza nella vita interna delle collettività ebraiche del Veneto, come anche nel mantenimento dei non sempre facili rapporti con le autorità della Repubblica e con la società locale. In questa città fiorì nel periodo in questione una Accademia Talmudica, che godette di vasta fama e che attrasse alcuni dei più noti Maestri della Legge dell’epoca, provenienti perlopiù da paesi di oltralpe.

Daniel Carpi
La cultura ebraica a Bologna tra medioevo e rinascimento. Atti del convegno internazionale. Bologna, 9 aprile 2000
Giuntina, 2000
Editore
Mauro Perani

Il volume presenta gli atti di un convegno dedicato a delineare il ricco mondo culturale della Bologna ebraica tra Quattro e Cinquecento, quando essa divenne uno dei centri più importanti dell’ebraismo italiano.

Mauro Perani
Gli ebrei a Cremona: storia di una comunità fra Medioevo e Rinascimento
Giuntina, 2002
Editore
Giovanni B. Magnoli

L’insediamento ebraico cremonese nel periodo che va dalla fine del XIV secolo al 1597, anno della definitiva cacciata, ebbe grande rilevanza all’interno del panorama delle presenze ebraiche nell’Italia settentrionale. In quegli anni, Cremona svolse in Lombardia una funzione peculiare rispetto a Milano, tenacemente fedele alla propria politica di rifiuto di stipulare con gli ebrei condotte d’insediamento nella città, diventando così per gli ebrei la capitale de facto del ducato. Oltre all’importante ruolo commerciale ed economico, la presenza ebraica fece di Cremona e Soncino centri di eccellenza per l’arte tipografica. Di particolare interesse anche la storia delle tensioni fra la Chiesa e gli ebrei, con l’intervento diretto nella vicenda cremonese del cardinale Carlo Borromeo e del vescovo della città, Niccolò Sfondrati, futuro papa Gregorio XIV. Fu il “gran disordine de’ giudei” di Cremona a preoccupare particolarmente il cardinale milanese e a spingerlo a intervenire presso la corte spagnola di Filippo II per affrettarne la cacciata. Roberto Bonfil approfondisce l’importanza della tipografia cremonese (e di Soncino) e altri aspetti della vita culturale della comunità ebraica nel periodo in questione. Mons. Pier Francesco Fumagalli mette in luce il rapporto fra la città, la Chiesa e la presenza ebraica, partendo dalle origini fino al grande rogo di Talmud avvenuto a metà del XVI secolo. Michele Luzzati analizza la rete di banchi che legava famiglie toscane alla città lombarda, evidenziando i legami commerciali e finanziari dei banchi cremonesi con le altre realtà italiane. Infine, Giovanni B. Magnoli ricostruisce la storia della comunità a partire dalle prime condotte, con particolare attenzione alla lenta genesi del provvedimento di espulsione, che allontanò per sempre gli ebrei da Cremona.

Giovanni B. Magnoli
Ebrei a Ferrara (13.-20. sec.): vita quotidiana, socialità, cultura
Ferrara, 2012
Editore
Giovanna Caniatti, Laura Graziani Secchieri

Nel fluire dei luoghi e delle documentazioni archivistiche dell’Archivio di Stato, dell’Archivio storico comunale e della Comunità ebraica si ritrova la memoria dei singoli rappresentanti del nucleo ebraico ferrarese e delle loro vicende personali.

Giovanna Caniatti, Laura Graziani Secchieri
“Interstizi”. Culture ebraico-cristiane a Venezia e nei suoi domini dal Medioevo all’età moderna
Edizioni di storia e letteratura, 2010
Editore
Uwe Israel, Robert Jutte, Reinhold C. Mueller

“Il presente volume di atti, frutto di un convegno tenutosi nel mese di settembre 2007 presso il Centro Tedesco di Studi Veneziani e il Dipartimento di studi storici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, è un tentativo di mettere in dubbio il precedente paradigma di ricerca relativo alla ghettizzazione e all’esclusione e di volgere l’attenzione soprattutto verso il probloema della costruzione dell’identità sia dei gruppi emarginati, sia della società maggioritaria.” (dalla Premessa dei curatori)

Uwe Israel, Robert Jutte, Reinhold C. Mueller
La casa dell’ebreo. Saggi sugli ebrei a Pisa e in Toscana nel Medioevo e nel Rinascimento
Nischi-Lischi, 1985
Editore
Michele Luzzati

In nessun centro, grande o piccolo, della Toscana e di gran parte d’Italia il numero degli Ebrei, nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, giungeva a toccare l’1% della popolazione; l’insediamento ebraico, luogo per luogo, fu spesso costituito da un modesto numero di famiglie, fra cui emergeva quella del “prestatore”. È attorno alla casa del “prestatore”, l’“ebreo” per antonomasia, che si raccoglieva, talora in un unico blocco di abitazioni, tutta la popolazione ebraica di una città. Ma se l’indicazione “la casa dell’ebreo” poteva compendiare tutto il mondo ebraico in una determinata località, la disseminazione degli Ebrei in centinaia di città e di piccoli centri portò ad una diffusione tanto capillare dell’unico gruppo non cristiano cui fosse consentito vivere fra i Cristiani che il problema dei rapporti con una fede e con dei costumi diversi si pose ovunque come banco di prova della civiltà del Rinascimento italiano.

Michele Luzzati
Banchi ebraici a Bologna nel XV secolo
Il Mulino, 1984
Editore
Maria Giuseppina Muzzarelli

Il numero dei banchi ebraici a Bologna rimase pressoché costante dalla fine del XIV al XVI secolo, anche dopo la creazione del Monte di Pietà che ruppe il monopolio ebraico del piccolo credito. I banchieri ebrei, numerosi e attivi anche nel contado, costituivano il nucleo di attrazione dell’insediamento ebraico e delle conseguenti esperienze dei cittadini con una comunità diversa dalla maggioranza cristiana. Seguendo le piste rintracciabili nella documentazione pubblica e privata, un gruppo di ricercatori ha tentato una prima ricostruzione della presenza ebraica a Bologna nel XV secolo.

Maria Giuseppina Muzzarelli
Studi sul mondo sefardita. In memoria di Aron Leoni
Olschki, 2012
Editore
Pier Cesare Ioly Zorattini, Michele Luzzati e Michele Sarfatti

Il volume contiene 13 studi dal Medio Evo all’Età contemporanea su temi concernenti il mondo sefardita, in particolare dell’Italia, dai prestatori iberici in Toscana nel primo Cinquecento all’evacuazione degli ultimi ebrei italiani a Salonicco nel 1943, spaziando tra le letterature dei Portoghesi nella Francia d’ancien régime a Daniel Rodriga e il commercio nell’Adriatico, dalle case dei Sefarditi alla prima anagrafe del ghetto di Ferrara. Completano il volume i ricchi Indici a cura di Laura Graziani Secchieri.

Pier Cesare Ioly Zorattini, Michele Luzzati e Michele Sarfatti
Gli ebrei e le piccole città: economia e società nel Polesine del Quattrocento
Minelliana, 2004
Editore
Elisabetta Traniello

Sul finire del Trecento, come già era avvenuto in molte città e in centri minori dell’Italia Settentrionale, alcune famiglie o individui di religione ebraica giunsero nei centri di Rovigo, Lendinara e Badia, che all’epoca appartenevano al dominio dei signori di Ferrara. Incrociando i dati raccolti da diversi tipi di fonti storiche, il libro indaga le attività di questi ebrei, la loro vita quotidiana, le relazioni d’affari e i rapporti sociali che intrattenevano con la comunità dei cristiani, le partenze, talvolta i ritorni. Nell’approfondire la conoscenza del mondo ebraico in ambito polesano, si amplia la comprensione delle vicende politiche, istituzionali, economiche e sociali di un territorio ancora non sufficientemente valorizzato dagli studi medievistici.

Elisabetta Traniello

Dani Karavan

“Scusi, sa dirci dov’è il giardino dei Finzi-Contini?”. È forse questa la domanda che più frequentemente un ferrarese si sente fare dai turisti a zonzo per la città. E dispiace sempre un po’ dover rispondere che quel luogo così affascinante ed enigmatico, che il romanzo di Giorgio Bassani, prima, e il film premio Oscar di Vittorio De Sica, poi, hanno fatto pulsare di voci, partite di tennis, passeggiate in bicicletta, alberi e fiori rari, amori impossibili e vite cui le leggi razziali avevano imposto una data di scadenza, in realtà non esiste.

E proprio da un incontro casuale con una comitiva di turisti è nata l’ispirazione dell’artista di fama mondiale Dani Karavan, che al giardino della finzione letteraria e cinematografica ha deciso di dare la consistenza di un’opera. Il suo progetto è al centro della mostra Il Giardino che non c’è, che il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS inaugura in Via Piangipane 81, a Ferrara, il 31 ottobre.

“Sono venuto la prima volta a Ferrara nel 1956 per vedere gli affreschi di Francesco del Cossa e Cosmé Tura – racconta Karavan –. Mi sono innamorato di questa città e da allora ci sono tornato molte altre volte. Negli anni ’80 vi incontrai Paolo Ravenna e immediatamente scoppiò un’amicizia. Grazie a lui ho scoperto il volto ebraico di Ferrara e la storia di Giorgio Bassani. L’idea de Il Giardino che non c’è mi è venuta quando mi sono imbattuto in un gruppo di americani che cercava il giardino dei Finzi-Contini dietro un muro di Corso Ercole I d’Este, senza però trovare nulla. Quando chiesi a Paolo, mi disse che lì non era mai esistito e che era frutto dell’immaginazione dello scrittore”.

Perché, allora, non usare proprio quel muro in Corso Ercole I d’Este per crearvi l’entrata in un vuoto, nel giardino che non c’è? Una suggestione che si è via via precisata, scontornata, popolata di oggetti. Ecco, dunque, la ferrovia, con la duplice funzione di far accedere fisicamente il pubblico a quel luogo, ora non più solo mentale, e di ricordare il tragico destino delle tante famiglie ebraiche italiane che in treno andarono incontro alla morte, deportate dai nazisti ad Auschwitz e in altri campi di concentramento. Non mancherà nemmeno la bicicletta, “un riferimento a Bassani e ai suoi amici – continua Karavan –, che giravano per Ferrara in sella alle loro bici, proprio come il suo alter ego Giorgio e gli altri ragazzi e ragazze nel libro. Mentre una scala alluderà al desiderio di Giorgio di arrampicarsi oltre il muro della proprietà dei Finzi-Contini per stare con Micol, quella giovane ed elegante donna della quale si era innamorato al primo sguardo, quando entrambi erano ancora bambini. Di fronte alla scala, un muro di vetro riporterà diversi estratti dalle pagine in cui Bassani descrive il giardino, in tutte le lingue in cui il suo romanzo è stato tradotto”.

Accanto al modello e a diversi materiali dell’installazione pensata da Karavan per Corso Ercole I d’Este, la mostra al MEIS include il manoscritto originale de Il Giardino dei Finzi-Contini (per gentile concessione del Comune di Ferrara) e un percorso tra alcuni degli oltre cinquanta lavori site specific firmati dallo scultore israeliano in giro per il mondo: il memoriale sui Sinti e i Rom a Berlino, la camminata sui diritti umani a Norimberga, l’omaggio a Walter Benjamin a Portbou e il monumento al deserto nel Negev.

“Sono felice e onorato di presentare Il Giardino che non c’è, insieme ad altre mie opere, al MEIS” – conclude l’ottantottenne Karavan –. Trovo molto adatto illustrare il mio progetto proprio qui, nell’edificio in cui Bassani fu detenuto sotto il regime fascista. Sento quest’opera come un’autentica necessità che viene dal profondo di me stesso e non vedo l’ora di vederla realizzata a Ferrara.”

La mostra è patrocinata dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Ferrara, con il sostegno di BASSANI 1916-2016 – Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Giorgio Bassani, Coop Alleanza 3.0Ferrara ArteFER Italia Nostra – Sezione di Ferrara. Si ringrazia il Centro Studi Bassaniani e la Fondazione Giorgio Bassani

Scarica il poster

Perché il MEIS è a Ferrara?

Una storia ben conosciuta da tutto il mondo ebraico, che racconta momenti di incontro e integrazione alternati ad altri ben più bui. Il MEIS vuole tornare alle proprie origini e spiegare ai visitatori, alla città e a tutto il largo pubblico perché il museo sia stato costruito a Ferrara. Per questo motivo il MEIS allestisce la mostra “Ferrara ebraica”.

L’ esposizione, curata e prodotta dal Museo, viene aperta in occasione del Premio letterario “Adelina della Pergola” istituito dall’ADEI WIZO (Associazione Donne Ebree d’Italia) e della Conferenza annuale dell’AEJM (l’associazione che riunisce i musei ebraici di tutta Europa) che si terrà proprio al MEIS e a Ferrara dal 17 al 19 novembre. Il percorso della mostra accompagna il visitatore attraverso un viaggio nel tempo, facendo cogliere la peculiare identità e le principali tappe della antica e ancora vitale comunità ebraica ferrarese.

“Ferrara ebraica” racconta tutto questo e lo fa attraverso oggetti dei quali vengono spiegate l’origine e l’uso, documenti e testimonianze: dal Talled (lo scialle usato dagli uomini per le preghiere del mattino o dopo aver recitato una benedizione) appartenuto al rabbino Leone Leoni che durante le persecuzioni fasciste tenta di fermare lo scempio nelle Sinagoghe, alla mitica profumeria Finzi vero punto di riferimento cittadino.

Il documentario (prodotto da Forma International per il MEIS, in collaborazione con l’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara e con il contributo della Regione Emilia Romagna, legge Memoria del Novecento) e le interviste integrano il racconto, ricomponendo i tasselli di una storia ancora viva e che guarda avanti. Perché Ferrara ebraica ha un passato da custodire e un futuro da costruire.

Noi siamo molto contenti che vengano ad abitare qua con le loro famiglie…perché sempre saranno benvisti e trattati in tutte le cose che potremo e ogni die più se ne conteranno di essere venuti a Casa nostra.

Ercole I d’Este agli ebrei esuli dalla Spagna, 1492