A Ferrara apre il MEIS: gli occhi del mondo sugli ebrei italiani
Ci sono le monete romane d’argento e bronzo, con la scritta Iudea Capta, in barba all’Unesco e a chi nega il legame tra gli ebrei e quella sponda del Mediterraneo; c’è la riproduzione del bassorilievo dell’Arco di Tito, con la grande Menorah d’oro trafugata dalle macerie del Bet Hamikdash di Yerushalaim. E poi dipinti, epigrafi, sigilli, abili e preziose ricostruzioni di pareti catacombali e mosaici delle sinagoghe italiane di 2000 anni fa. E ancora le installazioni multimediali che proiettano il visitatore nella realtà virtuale di secoli di storia. Questo e molto altro troverete nelle stanze del nuovo Museo di Ferrara. Finalmente, infatti, apre i battenti il MEIS!
L’idea risale al 2001, poco dopo l’approvazione della Legge sul Giorno della Memoria, con uno scambio di vedute tra Vittorio Sgarbi, Alain Elkan, Massimiliano Fuksas e Dario Franceschini, che fu poi il primo firmatario della Legge che lo ha istituito, nel 2003; ma il Meis in tutti gli anni che hanno preceduto l’inaugurazione del dicembre 2017 ha trovato comunque il modo di essere presente in città, con eventi come la Festa del Libro ebraico. La fine dei lavori strutturali è prevista per il 2020. È abbastanza inconsueta una gestazione così lunga. Ne parliamo con la Direttrice Simonetta della Seta, al timone dal 2016.
«Il Meis nasce con una legge dello Stato del 2003, votata da tutti i deputati all’unanimità, che delibera la creazione in Italia di un museo della Shoah a Ferrara. Dopo la proposta di Veltroni di creare un analogo Museo a Roma, la Legge è stata emendata nel 2006 e la sede di Ferrara è stata dedicata alla Storia degli Ebrei italiani, con una sezione sulla Shoah italiana. Nasce così il MEIS, Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah».
Come si colloca il Meis nel panorama dei musei ebraici italiani, come va inquadrato il suo ruolo di museo “Nazionale”?
È completamente diverso, perché non è un museo “comunitario” o “ebraico”, legato alle istituzioni ebraiche. Il MEIS è sostenuto dalle istituzioni dello Stato italiano: è quindi un museo Nazionale, dedicato a temi ebraici, in ragione del fatto che gli ebrei sono parte della storia d’Italia. Nel suo Consiglio di Amministrazione ci sono il Ministero dei Beni Culturali, la Regione Emilia Romagna, il Comune di Ferrara. L’Ucei è presente come organo di riferimento culturale. Nel 2006 è stata creata la Fondazione MEIS con sede nell’ex carcere di Via Piangipane e per il recupero dell’area è stato bandito nel 2010 un Concorso pubblico internazionale per la parte architettonica.
Il carcere si sviluppava in tre edifici, l’area maschile, quella femminile e la parte amministrativa. Il concorso è stato vinto da due studi italiani e nel 2011 sono partiti gli appalti per il primo corpo, mentre si è deciso di abbattere, perché irrecuperabile, l’area femminile. Nel 2012 è stata aperta la palazzina negli ex-uffici con l’amministrazione e tre sale espositive; così è nato il primo nucleo del MEIS, con la presidenza di Riccardo Calimani, storico dell’ebraismo italiano, al quale sono molto grata per il grande lavoro che ha svolto e per aver dato vita a questa realtà. Poi, nel 2015, è cambiato lo Statuto e il Cda. Il Ministro Franceschini ha nominato presidente Dario Disegni ed è stato lanciato il Concorso per il Direttore del Museo, che doveva essere una figura esecutiva e scientifica, con il profilo di un Amministratore Delegato. A giugno del 2016 ho vinto il concorso.
Da quel momento c’è stata una accelerazione nel cantiere sull’ex carcere maschile, con 18 gare pubbliche, fino ad arrivare all’inaugurazione di dicembre 2017: 1000 metri quadrati di allestimento su due piani, 20 sale. Ma non finisce qui: entro il 2020, sulle basi già predisposte, prenderanno vita cinque edifici che vogliono ricordare i libri della Torà. Alla fine, sarà un comprensorio di sette edifici, con parte espositiva, permanente e temporanea, auditorium, centro di catalogazione, biblioteca, archivio. Insomma, un centro polivalente dell’ebraismo italiano, che vuole far conoscere gli ebrei e il loro patrimonio storico e artistico agli altri italiani e ai visitatori di tutto il mondo. Vuole essere anche un laboratorio di pensiero sull’ebraismo italiano ed è paragonabile solo al Museo di Varsavia, a quelli di Parigi e Berlino. Ci sono 15 persone nel Comitato scientifico, esperti di livello internazionale.
Che cosa pensi del fatto che un museo nazionale sia in una città splendida e dalla storia prestigiosa, ma un po’ decentrata e di provincia? È un limite o un valore aggiunto?
Il MEIS è nato a Ferrara perché questa è una città importante per l’ebraismo. È il luogo dove gli ebrei sono stati chiamati con un editto dagli Estensi, e accolti fin dal Medioevo. Qui hanno vissuto o sono passati Itzhak Abrabanel, Donna Gracia HaNasi, Isacco Lampronti, Theodor Herzl. È una città dove l’ebraismo è vivo, con le sinagoghe e gli eventi. Qui gli ebrei sefarditi hanno tradotto in ebraico l’Orlando Furioso… È la città, con Gerusalemme e Roma, dove la consapevolezza della presenza ebraica è capillare e diffusa in tutta la popolazione. Oltre al MEIS, l’ebraismo è in tutta la città, è come un museo diffuso. Inoltre, da un punto di vista organizzativo è perfetta, tutte le istituzioni sono vicine, ha tutti i vantaggi della provincia con una vitalità culturale immensa. E poi non è così decentrata, è sull’asse Roma-Venezia che è un must per i turisti internazionali, ben collegata con Bologna e il suo aeroporto.
“Con gli occhi degli ebrei italiani”, installazione multimediale, e la mostra sui primi mille anni della storia degli ebrei in Italia sono i due contenuti che hanno inaugurato il Museo. Che accoglienza hanno avuto da parte dei visitatori? Resteranno nella dotazione permanente del MEIS?
Abbiamo registrato 3000 visitatori in meno di un mese, provenienti da tutta Italia, da Torino a Palermo, da Trieste a Napoli. E poi molti stranieri, dall’Europa (Francia, Olanda, Germania, Polonia…) e dall’America (Usa, Argentina, Brasile). E tutto senza che sia partita ancora una vera promozione. Anche il nostro sito internet, la nostra vetrina, è online ma sarà completamente ripensato, a breve. Il libro dei commenti dei visitatori è molto positivo, a volte commovente, soprattutto da parte dei giovani. Uno, da Israele: “Museo d’obbligo per tutti gli ebrei del mondo…”.
C’è da dire che abbiamo lavorato moltissimo. Dallo staff iniziale di 7 persone, oggi siamo oltre 50. Siamo riusciti ad avere in prestito opere da tutto il mondo. Oltre duecento oggetti – molti preziosi e rari –, fra i quali venti manoscritti, sette incunaboli e cinquecentine, diciotto documenti medievali, provenienti in gran parte dalla Genizah del Cairo, quarantanove epigrafi di età romana e medievale e centoventuno tra anelli, sigilli, monete, lucerne, amuleti, poco noti o mai esposti prima, prestati da musei italiani e stranieri di primo piano. La maggior parte di questi oggetti resterà fino alla chiusura della mostra, a settembre, altri si alterneranno e alcuni resteranno nella dotazione permanente del MEIS. Il percorso espositivo proposto è permanente, come il progetto multimediale, in italiano e in inglese, Con gli occhi degli ebrei italiani (a cura di Giovanni Carrada, autore di “Superquark”, responsabile del soggetto e della sceneggiatura e di Simonetta Della Seta, ricerca iconografica di Manuela Fugenzi, regia di Raffaella Ottaviani e colonna sonora di Paolo Modugno, ndr) uno spettacolo esperienziale di 24 minuti sulla storia d’Italia vista dagli ebrei, di introduzione ai temi del Museo, che arriva fino ai nostri giorni. È stato molto apprezzato soprattutto dai giovani che hanno lasciato messaggi bellissimi. Per quanto riguarda la mostra Ebrei, una storia italiana – i primi mille anni, curata da Anna Foa, Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla, c’è dietro un grande lavoro concettuale, frutto di un dibattito interno al Comitato scientifico, su come presentare la storia degli ebrei italiani. Le persone sono rimaste colpite nell’apprendere che c’erano 40 mila ebrei nella Roma imperiale, prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme. O che la distruzione di Tito non è stata solo quella di un edificio ma di una identità, e che gli ebrei si sono “portati” Gerusalemme in Italia, una Gerusalemme identitaria.
È evidente dalle migliaia di Menoroth presenti nelle catacombe, nei tessuti; e poi gli oggetti nelle sinagoghe, i libri, i rotoli… Il MEIS ha raccolto tutto questo in modo moderno, anche se molto pulito e rigoroso. Abbiamo seguito tre registri espositivi, cronologico, geografico e culturale. Quello cronologico, presenta Gerusalemme prima della conquista romana; la conquista; la distruzione del Tempio; il cristianesimo. Il secondo, la distribuzione degli ebrei in Italia, dal Meridione fino al Nord. Il terzo percorso, quello culturale, presenta ciò che gli ebrei hanno dato all’Italia, dalle scienze all’arte. Finisce con il viaggio di Beniamino da Tudela attraverso la penisola (1076) con le illustrazioni di Lele Luzzati. Per i successivi 1000 anni, avremo la consulenza, tra gli altri, di Giulio Busi, massimo esperto dell’ebraismo italiano nel Rinascimento.
Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah. 2000 anni di storia ebraica in Italia e il Male del XX secolo. Una equivalenza di peso che suscita qualche perplessità. Che cosa ne pensi?
La mission del MEIS è parlare della vita e del retaggio dell’ebraismo italiano. In questo contesto affrontiamo il tema della Shoah italiana. Abbiamo detto che è un Museo Nazionale e le istituzioni devono fare i conti con quello che è successo agli ebrei in Italia. Parlare di Shoah, quindi, non è la “vocazione” principale del MEIS, come è invece per il Memoriale di Milano, ma vedere che cosa è stata la storia degli ebrei in Italia, nel corso di duemila anni, fa capire molto bene ai visitatori quale sia stato lo shock patito dagli ebrei italiani con le Leggi Razziali. Quando acquisti una prospettiva storica anche l’evento della Shoah diventa più forte. Approfondimento e prospettiva, questi sono i capisaldi del Museo. Al contrario, internet, il web, dà l’informazioni su un evento nel momento del suo avverarsi, il che non rende possibile il ragionare e comprendere davvero.