Quell’elenco insensato delle ruberie ai danni dei cittadini ebrei
Lia Tagliacozzo
Prende le mosse dal 1998 il libro di Fabio Isman che pure racconta del 1938, l’Italia razzista (Il Mulino, pp.275, euro 22). Lo scorso anno si sono ricordati gli ottant’anni dalla promulgazione di quella legislazione antiebraica il cui processo di rimozione dall’ordinamento repubblicano è stato lungo e tormentato e si è concluso – sorprendentemente – solo alla fine del secolo scorso. E fu, appunto, nel 1998 che una commissione governativa ebbe l’incarico di indagare su «l’acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati».
Presieduta da Tina Anselmi la commissione lavorò tre anni e produsse i due corposi volumi da cui Isman snoda il filo centrale del suo racconto. Nel 1938 viene istituito un ente apposito «per la gestione e liquidazione immobiliare», l’Egeli, che chiuderà nel 1997. Ma che il processo abrogativo abbia avuto vie per alcuni aspetti surreali è testimoniato dalla legge 2139 del 1939 che vietava agli ebrei di «allevare piccioni viaggiatori» e che viene cancellata nel 2008.
È INFATTI NEGLI ANGOLI più riposti della documentazione pubblica e della memoria condivisa che è finita una delle pagine meno analizzate della persecuzione antiebraica: quella della spoliazione dei beni in cui il fascismo si mosse in assoluta autonomia dall’alleato nazista. Anche per la «seconda fase» – quella successiva all’8 settembre del 1943 – la Repubblica sociale si muove autonoma e parallela ai tedeschi nei sequestri e nelle confische.
Il volume di Isman – con prefazione della senatrice Liliana Segre, ex deportata ad Auschwitz e sopravvissuta della Shoah – descrive «una Italia razzista» ed emerge l’assurdo: la cacciata di professori e studenti ebrei dagli atenei e dalle scuole di ogni ordine e grado accanto alla revoca delle licenze ai venditori ambulanti. Desolanti i verbali di sequestro – redatti spesso in forma approssimativa e che lasciavano ampio spazio a ruberie – grandi patrimoni oppure «due paia di calze usate, una bandiera nazionale, un enteroclisma, 3 mutandine usate sporche, 1 bidè».
UN CALENDARIO insensato in cui le date delle ruberie legalizzate sono successive alla sparizione dei proprietari oramai in fuga, nascosti, o già catturati, deportati, a volte già uccisi nei campi di sterminio. Ma la burocrazia non si ferma: «Per Egeli – scrive Isman – il costo di queste pratiche era nettamente superiore alla loro consistenza (…) perfino i fogli di carta bollata degli atti che, da soli, superavano talora l’entità dei beni confiscati». E riporta le osservazioni della commissione Aselmi: «Denari, gioielli, beni di fortuna in generale non furono più la misura di un tenore di vita, ma il confine stesso tra la vita e la morte».
Isman racconta destini, in alcuni casi riesce a ricostruire storie di famiglia fino al dopoguerra: dà conto delle peripezie, dei lutti, della richiesta di essere riammessi al lavoro, dei processi per ottenere la restituzione del maltolto. Dalle carte però emerge un nodo ancora tutto da indagare non solo nelle carte della burocrazia ma nella politica, nella cultura, nel sentire diffuso: quello di una sostanziale indifferenza dell’Italia democratica verso i misfatti dell’Italia fascista. E non solo verso i cittadini ebrei allora estromessi, allontanati, condotti sul baratro delle deportazioni. Una noncuranza motivata, forse, dalla fretta di lasciarsi alle spalle lutti e tragedie. Una freddezza le cui ombre si allungano fino al presente di altri emarginati.
LA PRESENTAZIONE del libro 1938, l’Italia razzista si terrà al Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah – Meishop (via Piangipane 81, Ferrara) il prossimo 22 gennaio, alle ore 16, mentre nella stessa mattinata (ore 10) verrà proposto il volume Piccola autobiografia di mio padre(Giuntina), in cui l’autore Daniel Vogelmann parla del suo genitore, quello Schulim che fu il falsario di Schindler.