A partire dall’istituzione del primo ghetto nella Venezia del 1516, seguito poi da quello di Roma e delle altre città, gli ebrei dovettero misurarsi con questo luogo circoscritto e ambivalente, che li includeva nel perimetro urbano e allo stesso tempo li isolava.
Per quasi tre secoli fu questo lo spazio entro il quale gli ebrei coltivarono la propria identità, preservando da un lato i caratteri di una cultura millenaria, ma attingendo dall’altra al mondo che si apriva oltre quel confine: la relazione continua fra il “dentro” e il “fuori” le mura del ghetto segna la vita degli ebrei nel lungo cammino verso l’emancipazione. A questa realtà così complessa e articolata è dedicato la mostra e il catalogo (già disponibile), che si avvale di un ricchissimo apparato critico per affrontare sotto ogni angolazione – storica, artistica, sociologica – una problematica fortemente attuale: i concetti di resilienza, integrazione, confronto fra culture, aspirazione a essere uguali pur rimanendo diversi, sono temi che la società odierna continuamente ripropone, riaccendendo con essi il dilemma dei ghetti.
Comprenderne il ruolo in una prospettiva identitaria è lo scopo cui mira la mostra e la pubblicazione, che ripercorre questa peculiare condizione vissuta dagli ebrei europei, e italiani in particolare, tra il XVI e il XIX secolo nella convinzione che la storia ebraica possa trasmettere valori universali e offrire strumenti utili per il presente.
L’esposizione, che ripercorre i momenti cruciali della storia moderna visti dalla prospettiva dell’esperienza ebraica, viene costruita e raccontata attraverso materiali e opere eterogenee provenienti da tutta Italia e dall’estero, come l’imponente dipinto Ester al cospetto di Assuero di Sebastiano Ricci – prestito del Palazzo del Quirinale –, Interno della sinagoga di Livorno di Ulvi Liegi e il Ritratto di Giuseppe Garibaldi ad opera di Vittorio Corcos (entrambi provenienti dal Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno).
1. Ester davanti ad Assuero (1733), Sebastiano Ricci
Roma, Palazzo del Quirinale. Crediti fotografici: Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica – Foto Giuseppe Schiavinotto, Roma
2. Vittorio Corcos, Ritratto di Giuseppe Garibaldi
Parigi, 1882. Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori
Ma peculiare di questo progetto espositivo è stata la volontà di integrare il percorso con oggetti che testimoniano la vita ebraica quotidiana, come la porta dell’Aron Ha-Qodesh, l’Armadio sacro dorato in legno intagliato, di una delle sinagoghe del ghetto di Torino che venne donato nel 1884 dalla Università Israelitica locale al Museo Civico di Torino, o le testimonianze di impegno personale, rappresentate per esempio dal baule della crocerossina Matilde Levi in Viterbo. Si snoda così il pensiero alla base della mostra e dell’intero Museo, che affianca a un rigoroso approccio storico e a un significativo riferimento all’arte, contributi di taglio sociologico, aprendo anche alla dimensione individuale e personalissima, che risuona ancora oggi di grande attualità. Attraversando i secoli si arriva fino all’Unità d’Italia e alla Prima Guerra Mondiale, data conclusiva del periodo analizzato, restituendo un’immagine nitida degli snodi identitari vissuti dagli ebrei in Italia e in Europa, uscendo dal ghetto per partecipare attivamente e con convinzione alla Storia nazionale in tutti i suoi passaggi fondativi, prima di essere rinchiusi nuovamente – col fascismo – in un “dentro” di privazione di diritti e di orrore.
1. Aron Ha-Qodesh, porta a due battenti, fine del XVIII-inizio del XIX secolo
Torino, Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, in comodato alla Sinagoga della Comunità Ebraica di Torino
1. Baule della crocerossina Matilde Levi in Viterbo
Crediti: foto di Marco Caselli Nirmal
La mostra è realizzata con il sostegno di Intesa Sanpaolo, The David Berg Foundation, Fondazione Guglielmo De Lèvy, TPER e il patrocinio del Ministero della cultura, della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Ferrara, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Comunità Ebraica di Ferrara. Si ringraziano la Fondazione CDEC e il compianto Ambasciatore Giulio Prigioni.
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