L’anima ebraica del Rinascimento: «Ferrara fucina di un incrocio vitale»

Stefano Lolli

LA STRAORDINARIA Aron ha-qodesh di Modena, l’Arca Santa del 1472 mai esposta prima in Italia, fa già bella mostra di sé. Il Mantegna, ancora imballato, attende di trovar posto alle pareti, per scandire assieme al Carpaccio, al Mazzolino, al Sassetta, il viaggio, fisico e multimediale, che accompagnerà i visitatori in un Rinascimento in cui arte, storia, civiltà, ebraismo e cattolicesimo si compenetrano. Ferve l’allestimento, al Meis, per la mostra che da giovedì segnerà la seconda tappa di un viaggio bimillenario: Il Rinascimento parla ebraico, curata da Giulio Busi e Silvana Greco, rappresenta «un momento fondamentale soprattutto per Ferrara. Se la nostra è la città del Rinascimento per eccellenza, grazie a questa esposizione si capirà quanto è ebraico, e perciò eccezionale e internazionale, il Rinascimento ferrarese». Simonetta Della Seta, direttrice del museo, non nasconde la trepidazione. Nei quadri, oltre che nei libri, nelle opere a scultura, nei documenti, si scoprono le tracce di una «compenetrazione e di un contagio. Da una parte il momento capitolare della storia italiana, in cui si rimette al centro l’uomo, si valorizza il bello, dall’altro il collante con i valori di cui gli ebrei erano portatori: colti, alfabetizzati, internazionali, e particolare spesso utile per gli artisti, anche ricchi – sorride la Della Seta –. E di questo legame, Ferrara è l’elemento che salda tutto».

QUI, NEL RINASCIMENTO, gli Estensi favorirono l’insediarsi degli ebrei sefarditi; qui Gracia Nasi (cui il regista Amos Gitai vuol dedicare un film) esercitava la propria influenza a palazzo Roverella. E Ferrara, prosegue la Della Seta dispiegando le bozze dell’allestimento dello studio Tortelli, «è la città in cui il visitatore entrerà fisicamente percorrendo le strade, le case, i luoghi degli incontri e degli scontri». Una mostra importante e al tempo stesso «gioiosa: il Rinascimento in chiave ebraica – conclude il direttore – vede tante donne, fossero imprenditrici o macellaie, assolute protagoniste».

LE OPERE

Tanti tesori dell’età estense

LA MOSTRA apre e chiude con Ferrara, e presenta alcune opere fondamentali: tra queste il diploma di laurea in medicina di Ovadyah Sforno (1501), la cosiddetta Bibbia Espagnola (custodita all’Ariostea), il Forziere rinascimentale della Comunità Ebraica, il sarcofago di Prisciano Prisciani, il capitello con Cena di Erode e Decollazione del Battista


IL PRESIDENTE – Disegni spiega il prestigio dei prestiti internazionali: «Per la prima volta l’Arca Santa ritorna in Italia». Conferenze a Berlino, Parigi e New York

«Una chiave per leggere e capire la città»

«IL MIO UNICO rammarico è non essere riusciti a ottenere il prestito della Madonna Roverella dalla National Gallery. Abbiamo usato tutte le nostre armi diplomatiche, purtroppo non ce l’abbiamo fatta». Il rammarico di Dario Disegni, presidente del Meis, trova comunque un rapido conforto: «L’attrattiva di questa mostra sarà enorme: nell’arte e nella cultura del Rinascimento, Ferrara ha avuto un peso rilevantissimo, e la presenza ebraica è straordinaria. Basterà vedere quali sono le influenze su geni della pittura come Mantegna o Carpaccio». Ma il rilievo valica le mura dell’ex carcere di via Piangipane: «Ferrara è un incredibile museo diffuso, e mai come in questa occasione lo scambio tra i visitatori della mostra e la città sarà vivo e istintivo – prosegue Disegni –; non solo verranno esposti alla meraviglia del pubblico oggetti spettacolari, ma si forniranno le chiavi per leggere meglio la cultura locale, e non solo». La mostra, in qualche modo, non resterà neppure confinata al Meis (apertura prevista sino a metà settembre): in maggio, previste infatti tre conferenze, a Berlino, Parigi e New York, per testimoniarne il rilievo ai potenziali visitatori stranieri, e agli studiosi internazionali dell’ebraismo. «Ma le relazioni sono già feconde – prosegue Disegni –: basti pensare all’Arca Santa, che non si era mai mossa da Parigi, e che siamo riusciti a farci prestare in cambio del suo restauro filologico». Non meno importante l’apparato scientifico: «Il catalogo è un vero e proprio libro, con saggi autorevolissimi – conclude il presidente –. Perciò ritengo che nei prossimi sei mesi, chiunque verrà a Ferrara e vorrà capire cosa è stata la città nel Rinascimento, non potrà non visitare la mostra».

s. l.

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