Il Rinascimento parla Ebraico: la storia di un dialogo tra culture nella nuova mostra del Meis

Di Ruggero Veronese

Non si può capire il Rinascimento italiano senza conoscere anche il ruolo giocato dalla cultura ebraica tra XV e XVI secolo. È questa la riflessione che sorge spontanea all’uscita della nuova mostra del Meis “Il Rinascimento parla ebraico”, che aprirà al pubblico domani mattina (venerdì 12 aprile) e che è stata presentata alla stampa durante una visita guidata a cui hanno preso parte anche i curatori Silvana Greco e Giulio Busi insieme ai dirigenti del museo Simonetta Della Seta e Dario Disegni. Una mostra che, per dirla con le parole di Busi, “vuole affermare una tesi: quella secondo cui il Rinascimento non sarebbe stato lo straordinario fenomeno culturale che conosciamo, senza l’apporto delle minoranze ebraiche presenti in Italia”.

Tesi che traspare chiaramente durante il percorso espositivo, che pone al centro dell’attenzione soprattutto il contesto storico, sociale, politico ed economico in cui si sono sviluppate le opere che compongono la mostra. Si possono così osservare sia reperti che appartengono a pieno titolo al patrimonio culturale ebraico sia opere d’arte di autori cristiani, che testimoniano chiaramente il fitto scambio culturale e la contaminazione reciproca che caratterizzò la società cristiana ed ebraica tra ‘400 e ‘500 (e in particolare tra 1470 e 1530), prima dell’istituzione dei ghetti da parte di Papa Paolo IV nel 1555 con la bolla ‘Cum nimis absurdum’.

Una serie di incroci e scambi culturali favoriti sia da un diverso clima di apertura culturale che da fattori più contingenti. Nel ‘400 si iniziava infatti a riscoprire la cultura classica e quindi la conoscenza di latino, greco antico ed ebraico diventò indispensabile per la comprensione dei testi, mentre studiosi e artisti cristiani si interessavano alla cultura ebraica per poter descrivere e rappresentare con più precisione la vita e il contesto storico di Gesù. A cavallo tra XV e XVI secolo l’ebraismo non rappresentava però solo un ‘background culturale’ da conoscere per capire le origini del cristianesimo, ma anche una parte di popolazione che giocava un ruolo decisivo a livello economico e sociale. Difficile infatti per mecenati e famiglie nobili finanziare le opere d’arte delle corti, senza prestatori di denaro: un ruolo che veniva ‘relegato’ agli ebrei, dal momento che per i cristiani vigeva il divieto di usura, ovvero di prestare soldi in cambio di un interesse.

Nasce così uno scambio a più livelli tra il mondo cristiano e quello ebraico, che si scoprono molto più interconnessi e dipendenti l’uno dall’altro di quanto non si osasse pensare. E lo stesso Rinascimento italiano si scopre come un frutto di questa contaminazione, come dimostrano le scritte in ebraico sui quadri di Mantegna, Carpaccia o Mazzolino presenti nell’esposizione o il ricco e atipico abbigliamento occidentale con cui viene rappresentato Giobbe in un testo ebraico dell’epoca, visibile nell’installazione che apre il percorso espositivo.

Durante l’apertura dell’esposizione, la direttrice del Meis Simonetta Della Seta e il direttore Dario Disegni hanno ripercorso la crescita e lo sviluppo delle iniziative del museo, dovuti anche all’apporto di sponsor e investitori privati che hanno supportato le iniziative, sottolineando l’importanza di far luce su tutti i momenti che hanno contraddistinto la storia dell’ebraismo italiano. Di particolare interesse anche il focus sul ruolo delle donne nella cultura ebraica dato dalla curatrice Silvana Greco, che ha sottolineato l’importanza di “uscire dallo stereotipo di ebraismo come cultura patriarcale in cui le donne erano viste solo come mogli, figlie o madri. Vediamo molte esponenti del mondo ebraico femminile che avevano un ruolo attivo nella sfera pubblica: troviamo ad esempio imprenditrici e donne di cultura che ricopiavano i manoscritti”. Un esempio presente all’interno della mostra è Gracia Nasi, che dedicò la vita alla diffusione della cultura ebraica interpretando un ruolo di emancipazione singolare ed esemplare nel XVI Secolo.

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