I lavori dell’Ihra a Ferrara Shoah, i Testimoni raccontano
Era un pubblico estremamente competente quello che ieri sera, alla Residenza Municipale di Ferrara, nella Sala Estense, ha potuto assistere a una proiezione privata di “Eravamo italiani”, il film documentario diretto da Ruggero Gabbai e scritto da Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto. Ed è stato proprio il regista milanese, insieme a Pezzetti e introdotto dal direttore del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah Simonetta Della Seta, a raccontare il lavoro preparatorio e le scelte compiute durante le riprese. In sala i delegati della International Holocaust Remembrance Alliance, rappresentanti delle istituzioni e dell’accademia giunti a Ferrara da trentuno paesi per la seconda riunione plenaria dell’IHRA organizzata nell’anno della presidenza italiana, cui per l’occasione si sono uniti alcuni rappresentanti delle istituzioni locali e della comunità ebraica cittadina. Le testimonianze dei sopravvissuti italiani, raccolte all’interno del progetto dell’Archivio della Memoria del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, sono documento prezioso ed emozionante. Un racconto che parte dai primi effetti delle Leggi razziste promulgate dal fascismo, con l’espulsione dalle scuole vissuta come incomprensibile violenza da coloro che allora erano bambini, per arrivare agli arresti, alle retate, e alla deportazione. Fossoli, Roma, Rodi, il confine con la Svizzera, Milano… luoghi molto diversi tra loro e tutti ugualmente palcoscenico di violenza, dolore e incomprensibili sofferenze. Percorsi e storie molto diverse, tutte ugualmente atroci, tutte che portano verso i campi, ed è qui che i testimoni ricordano quanto vissuto allora, le botte, la violenza, il dolore della separazione dai propri cari, il freddo, la fame, le scene di morte e quei mille episodi terribili e indimenticabili che rendono oggi fondamentale e preziosa ogni traccia di testimonianza. Straniante e ancora più emozionante e dolorosa, se possibile, la conclusione del docufilm, che chiude su alcune canzoni, che i sopravvissuti ricordano di aver cantato nel campo a volte per farsi coraggio, o per avere in cambio un tozzo di pane e cercare così di salvarsi la vita. Voci capaci di cantare nel freddo, nel vuoto. E nel silenzio assoluto di una platea commossa.