Gli ebrei che fecero la storia del calcio
“Pensate se allenatori del calibro di Allegri o Conte fra 50 anni fossero cancellati dalla memoria di tutti. Non semplicemente dimenticati, ma volutamente eliminati dalle tracce di ciò che hanno fatto”. L’orrore delle leggi razziali invade anche il campo da calcio, e al Meis, giovedì sera, si è restituito un pezzo di storia importante dello sport ma anche della civiltà, grazie a due libri che rendono onore a personaggi determinanti in questo senso.
Sono tutti ‘Presidenti’, i personaggi dell’omonimo libro di Adam Smulevich, giornalista di Pagine Ebraiche, che accende i riflettori sulle vicende di tre ebrei che “resero grande il calcio italiano in un epoca importantissima – spiega l’autore – perché fino al ’27 era basato sul modello amatoriale, mentre con la Carta di Viareggio, proprio in quegli anni, comincia a volare verso il professionismo”.
Appena 24 ore prima della nascita di questa Carta della ‘rivoluzione calcistica’ nazionale, nacque il Napoli, per mano di Giorgio Ascarelli, che “fiuta la possibilità di inserire la squadra nella massima serie fin da subito”. Parallelamente Raffaele Jaffa, di professione insegnante, innamoratosi del calcio grazie proprio ai suoi alunni, regalò al Casale un incredibile scudetto alla vigilia della Grande Guerra, mentre Renato Sacerdoti, presidente della Roma dal 28 al 35, vide la prima schiacchiante vittoria della squadra di ‘campo testaccio’ contro la Juventus, che scrisse il mito del 5-0 dei primi anni Trenta.
Queste storie si intrecciano con un’altra grande leggenda del pallone, Arpad Weisz, protagonista dell’inchiesta di Matteo Marani ‘Dallo scudetto ad Auschwitz’. Ungherese di origine ebraica, Weisz fu il più giovane allenatore di sempre a vincere uno scudetto in Italia, nel ’30 contro l’Inter. Alla guida del Bologna ne conquistò poi altri due, prima di riuscire a imporsi sul Chelsea nel ’37. Ma la partita più dura, fu quella con le leggi razziali. Che gli fecero terminare i suoi giorni, assieme a moglie e figli, nel più terribile dei lagher nazisti.
E sebbene il calcio fosse tutto sommato uno ‘sport di regime’, per il quale il fascismo aveva investito molto (“pensare che quando si scendeva in campo si faceva il saluto fascista”), questo non metteva al riparo da ingiurie: “Sacerdoti – per esempio – era un fascista della prima ora – racconta Smulevich – aveva partecipato alla marcia su Roma, ed era in buoni rapporti col duce”. Il ’38, però, lo raggiunge senza pietà come i suoi colleghi: “Viene indicato come capo di una cricca di traffico illecito di denaro in Francia – prosegue l’autore – proprio sugli organi della stampa più visibili dell’epoca, come Il Popolo d’Italia, venendo etichettato come giudeo”.
“Ripensare oggi, nell’epoca del web, delle notizie incessanti, delle curiosità di ogni tipo, a come figure così determinanti siano state cancellate dalla memoria, è impressionante”. E riaffermare l’identità del loro lavoro è un modo “per riuscire a guardare la moltitudine con gli occhi dei singoli”. Per far passare queste storie “dall’oblio al carisma”.