EBREI Una storia italiana. I primi mille anni

L’isola della rugiada divina

«Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni» è la mostra inaugurale del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS, che illustra una vicenda sorprendente e ai più sconosciuta: le origini della presenza ebraica in Italia dai suoi albori sino al Medioevo.

Fino al 16 settembre 2018, a Ferrara, questo percorso espositivo si snoda su una superficie di mille metri quadrati, suddivisi in due piani, e prefigura la prima sezione del futuro Museo, presentando oggetti autentici, repliche, modelli, immagini, mappe, scenografie e dispositivi multimediali, per raccontare il primo millennio di storia dell’ebraismo italiano, il suo radicamento e la sua espansione grazie alle conversioni e agli apporti da altri territori, e il processo di formazione della sua peculiare identità. Da dove sono venuti gli ebrei italiani? Quando? Perché? E, una volta giunti in Italia, dove hanno scelto di attestarsi? Quali rapporti hanno stabilito con le popolazioni residenti, con i poteri pubblici: prima con la Roma imperiale, poi con la Chiesa, ma anche con i Longobardi, i Bizantini e i musulmani, sotto il cui dominio hanno vissuto? Quali sono stati la vita, le consuetudini, la lingua, la cultura delle comunità ebraiche d’Italia nel corso di tutto questo tempo? E soprattutto: che cosa ha di particolare e di specifico l’ebraismo italiano rispetto a quello di altri luoghi della diaspora?

Nel progetto dei curatori Anna Foa, Giancarlo Lacerenza e Daniele Jalla, e nell’allestimento dello studio GTRF di Brescia, le risposte a questi interrogativi sono affidate a un nuovo modo esperienziale di presentare la storia in un museo: ponendo al centro le persone e non le cose, le persone attraverso le cose. Gli oltre duecento preziosi oggetti in mostra, alcuni dei quali mai esposti in una sede pubblica, sono stati selezionati soprattutto per rappresentare i contesti dei quali sono testimonianza: venti manoscritti, sette incunaboli e cinquecentine, diciotto documenti medievali, quarantanove epigrafi di età romana e medievale, e centoventuno tra anelli, sigilli, monete, lucerne e amuleti, provenienti dai musei di tutto il mondo (dalla Genizah del Cairo al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dai Musei Vaticani alla Bodleian Library di Oxford, dal Jewish Theological Seminary di New York alla Cambridge University Library). La loro conoscenza e comprensione è affidata ai titoli e ai testi di sala, alle ricostruzioni ed evocazioni di ambienti, di situazioni e di eventi, alle immagini e alle parole dei curatori e degli esperti, che lungo l’itinerario si rivolgono direttamente al visitatore attraverso dei video, rendendo esplicita l’interpretazione storica proposta.

Le risposte che vengono fornite, per la prima volta con tanta completezza, partono dal dato di assoluta unicità della presenza ebraica in Italia: antica e ininterrotta da più di duemila anni, parte integrante e costitutiva della nostra storia ed espressione di un particolare rapporto tra maggioranza e minoranza. Di questo rapporto, la mostra mette a fuoco i primi mille anni, presentando l’arrivo, in parte spontaneo in parte forzato, degli ebrei in Italia. Ne segue il radicamento e l’integrazione, minoranza fra le minoranze, ma anche l’unica a permanere e a non farsi assimilare, prima durante l’Impero Romano, poi sotto il potere della Chiesa, evidenziandone la continuità e i caratteri del tutto originali rispetto ad altri Paesi.

«Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni» si apre con la visione delle aree di origine del popolo ebraico e delle sue diaspore (la penisola siro-arabica, la Mesopotamia, Canaan e la Terra d’Israele, l’Egitto), dal XII secolo a.e.v. al 70 e.v., cioè fino alla conquista romana della Giudea. In primo piano, alla fine di questa parte introduttiva, è Gerusalemme, nel tragico momento della distruzione del Secondo Tempio. Di qui si passa alla Roma dell’età imperiale e della tarda antichità, per rimarcare anche che la presenza ebraica è la sola, nella diaspora occidentale, a durare senza interruzioni dal II secolo a.e.v. a oggi. L’itinerario continua con la transizione dall’impero pagano a quello multi-religioso e infine cristiano, fino all’accettazione degli ebrei, sia pure in un clima pervaso da un crescente antigiudaismo, sotto papa Gregorio Magno (590-604). Non seguendo più un ordine cronologico, ma geografico, ha quindi inizio un viaggio nell’Italia antica, alla scoperta di come, oltre che nell’Urbe, l’ebraismo abbia preso piede e si sia sviluppato in maniera rigogliosa soprattutto nel sud e nelle isole. Qui, sebbene la presenza ebraica sia documentata archeologicamente solo a partire dal IV-V secolo, diverse fonti ne provano l’origine nella prima età imperiale, sia fra le altre presenze «orientali», sia come effetto delle deportazioni del I e del II secolo dalla Giudea. Da sud a nord, il percorso espositivo abbraccia le comunità ebraiche di tutta la penisola, dalla Puglia al Friuli, toccando la Sicilia, la Calabria, la Basilicata, la Campania, la Sardegna, l’Emilia-Romagna e la Lombardia. In seguito, sono illustrate la diffusione, la varietà e la ricchezza culturale dell’Italia ebraica del Meridione nel periodo della sua massima fioritura, fra il VII e l’XI secolo, quando il «popolo del libro» ritrova l’uso dell’ebraico e lo dispiega in tutte le sue possibili manifestazioni: dalla copiatura dei manoscritti alla redazione di testi letterari o scientifici. Fra l’alternanza delle dominazioni longobarda, bizantina e musulmana, si fa, dunque, strada un’originale cultura ebraica, «italiana» a tutto tondo.

A conclusione della mostra, il Libro di viaggi (Sefer massa‘ot) dell’ebreo navarrese Beniamino da Tudela, vissuto nel XII secolo, offre una preziosa immagine delle comunità ebraiche italiane del tempo, seguendo una linea che va dal Mediterraneo al Medio Oriente. Emergono così anche la presenza ebraica nell’Italia centro-settentrionale e la migrazione dal Meridione verso il nord, fino alla Valle del Reno, di alcune famiglie e di tradizioni culturali che getteranno le basi dell’ebraismo ashkenazita.

Come sottolineano i curatori, «nei limiti storici e geografici del primo millennio di presenza ebraica in Italia, la mostra affronta il rapporto fra maggioranza e minoranza da un duplice punto di vista: quello delle condizioni che una maggioranza assicura a una minoranza, dall’eliminazione all’assimilazione, passando attraverso tutte le gradazioni possibili tra questi estremi, che portano entrambi alla scomparsa della minoranza; e quello della minoranza che, se può perseguire gli obiettivi della convivenza e dello scambio con la società esterna, e cioè dell’integrazione, non può invece accettare di essere assimilata, pena la perdita della propria identità».

E ciò che il MEIS è chiamato a raccontare è proprio la storia di una minoranza, quella degli ebrei italiani, che sebbene pare non abbia mai superato le 50mila unità, ha, però, avuto un ruolo di primo piano già a partire dall’epoca romana e successivamente nel Rinascimento, per continuare in epoca moderna, nello sviluppo economico di nord e centro Italia, e nel processo di unificazione nazionale e risorgimentale, fino all’apporto alla produzione letteraria e scientifica del XX secolo. Senza contare che, nel corso dei secoli, questa minoranza ha favorito l’instaurarsi di relazioni tra l’Italia, l’Europa e le altre sponde del Mediterraneo. Gli ebrei incarnano, dunque, un riferimento indispensabile per comprendere la storia e la civiltà italiane, tra periodi di serena convivenza e interazioni feconde, e altri, tragici, di persecuzioni e cacciate, culminati nella tragedia della Shoah. Una dinamica fortemente asimmetrica tra un gruppo numericamente esiguo e una maggioranza religiosamente omogenea e politicamente più solida. Eppure, nonostante questo squilibrio, l’ebraismo italiano si è sempre smarcato da posizioni di subalternità. E alla mostra è affidato il compito di comunicarlo, di far sapere che l’Italia è stata costruita anche con e dagli ebrei. Che hanno sempre lavorato per fecondare questa terra, non a caso in ebraico chiamata I-Tal-Ya, l’isola della rugiada divina».

Breve storia del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS

L’apertura del primo grande edificio del MEIS con la mostra «Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni» rappresenta una tappa di notevole rilevanza nella realizzazione del Museo, istituito dal Parlamento della Repubblica con legge 17 aprile 2003, n. 91, modificata con legge 27 dicembre 2006, n. 296. Con la creazione del MEIS, lo Stato italiano si è impegnato a offrire al pubblico la prima presentazione organica del patrimonio e dell’eredità dell’ebraismo italiano, nonché una straordinaria opportunità di conoscenza, informazione, storia, identità e turismo culturale. Più specificamente le finalità del Museo sono essere un polo culturale che testimoni le vicende della bimillenaria esperienza ebraica in Italia; far conoscere la vita, il pensiero e la cultura dell’ebraismo italiano dalle sue origini al presente, includendo, con un’attenzione speciale, il periodo delle persecuzioni e della Shoah nell’esperienza specifica degli ebrei italiani; essere un luogo aperto e inclusivo, un laboratorio di idee e di riflessioni che racconti che cosa significa essere una minoranza, stimoli il dibattito sull’ebraismo, sul suo futuro in Italia e sul valore del dialogo e dell’incontro tra culture diverse.

La scelta di realizzare il MEIS a Ferrara deriva dal fatto che gli ebrei ci vivono da oltre mille anni, in continuità e in un naturale scambio con il resto della popolazione. Ciò anche grazie ai duchi d’Este, che agli ebrei aprirono le porte della città proprio quando altri governanti, a partire dai papi, li cacciavano o isolavano. A Ferrara hanno trovato rifugio gli ebrei romani e siciliani, toscani e sefarditi, espulsi da Spagna e Portogallo. Ed ecco, allora, le tre sinagoghe, l’incantevole cimitero ebraico entro le mura e le strade del ghetto, che ancora parlano ebraico e a breve distanza dai quali, in pieno centro, è collocato il sito dove sorge il MEIS.

Si tratta dell’ampio complesso delle ex carceri cittadine, inaugurato nel 1912 e dismesso nel 1992. Attraverso qualificati interventi urbanistici e architettonici, un luogo sinonimo di segregazione e di esclusione per tutto il Novecento (specie negli anni bui del fascismo) è stato recuperato e trasformato in uno spazio inclusivo e permeabile a persone e idee.

La copertura economica del cantiere è stata interamente assicurata dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, a garanzia di un hardware tecnologicamente e funzionalmente calibrato sulla nuova destinazione d’uso. Il progetto architettonico del MEIS è stato avviato nel 2011, sotto la direzione del MiBACT, che ha promosso un bando pubblico internazionale, vinto dal raggruppamento temporaneo formato da Studio Arco e -SCAPE S.p.A.

La gestione del Museo è affidata a una Fondazione, retta da un Consiglio di Amministrazione nominato dal Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Dal dicembre 2015, il CdA è presieduto da Dario Disegni e composto da Renzo Gattegna (già presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), Massimo Maisto (vicesindaco e assessore alla Cultura del Comune di Ferrara), Massimo Mezzetti (assessore alla Cultura della Regione Emilia-Romagna) e Daniele Ravenna (subentrato nel 2017 a Carla Di Francesco, divenuta segretario generale del MiBACT). Un Comitato Scientifico, composto da autorevoli studiosi italiani e stranieri, funge da organo consultivo sulla programmazione culturale e museale. Dal giugno 2016, a seguito di un bando internazionale, a dirigere il Museo è stata chiamata Simonetta Della Seta.

La Palazzina di Via Piangipane 81, aperta al pubblico dal dicembre 2011, ospita lo show multimediale «Con gli occhi degli ebrei italiani» e alcuni spazi didattici, e in futuro sarà anche sede del centro di catalogazione dei beni culturali ebraici. Il secondo edificio restaurato (l’ex carcere), che si protende verso le mura sud, è stato inaugurato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 13 dicembre 2017 e vi è allestita la mostra «Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni». La sua conformazione è rappresentativa della tipologia carceraria inaugurata da Carlo Fontana nel 1703, a Roma, con la casa di correzione San Michele: un penitenziario stretto e lungo, dotato di corridoi e di un ballatoio su cui affacciano le celle. Formula poi rivista e resa più complessa nelle versioni ottocentesche a panopticon come San Vittore e Regina Coeli, con una cappella centrale verso cui convergono i bracci. Consta di tre piani, per un totale di 1.269 metri quadri netti, da suddividere tra spazi espositivi e amministrativi, e la sua riconversione ha ottenuto la prima certificazione Gbc Historic Building in Italia, in base al protocollo ideato dal Green Building Council per gli edifici storici riqualificati in nome dell’ecosostenibilità.

La costruzione dei restanti edifici moderni, connotati da volumi che richiamano i cinque libri della Torà, comincerà nel 2018, per concludersi nel 2020. Nella sua configurazione finale, il MEIS comprenderà inoltre: accoglienza al pubblico, MEIShop, biblioteca, centro di documentazione, ristorante e caffetteria, auditorium, laboratori didattici, dando così vita a un grande complesso, strategico per lo sviluppo della città e di un turismo culturale qualificato.

Un polo culturale, dunque, come sottolinea il presidente Disegni, «per la conoscenza della storia di integrazione di una comunità antichissima e ancora oggi viva e attiva, che ha saputo mantenere e sviluppare le proprie tradizioni, e per la promozione del dialogo tra le molteplici componenti della società del nostro Paese, oggi più che mai obiettivo da perseguire con tenacia e lungimiranza».

Con gli occhi degli ebrei italiani Duemiladuecento anni di storia e cultura italiana in ventiquattro minuti, visti e raccontati attraverso gli occhi degli ebrei. Un grande affresco sulla vita e le sorti della più antica delle minoranze italiane. Progetto scientificamente rigoroso, «Con gli occhi degli ebrei italiani» è lo spettacolo multimediale che costituisce l’introduzione permanente al MEIS. A cura di Giovanni Carrada (autore di «Superquark», responsabile del soggetto e della sceneggiatura) e di Simonetta Della Seta (direttore del MEIS), l’installazione è realizzata con la ricerca iconografica di Manuela Fugenzi, la regia di Raffaella Ottaviani e la colonna sonora di Paolo Modugno.

«Pochi, in Italia, conoscono davvero gli ebrei e l’ebraismo, premette Carrada, perché la loro storia a scuola non viene insegnata, se non per parlare della Shoah. Così abbiamo pensato che un’attrazione intelligente potesse incuriosire i visitatori e introdurli a una comunità che ha dato al Paese apporti tanto importanti quanto poco noti, e nelle cui vicende possiamo trovare una chiave di lettura illuminante e sorprendente degli eventi che tutti conosciamo». «L’intento, rimarca Simonetta Della Seta, è quello di coinvolgere il pubblico nei temi che il percorso espositivo del MEIS esplora, poi, più approfonditamente. La nostra prima preoccupazione è stata quella di raggiungere tutti, presentando in modo accurato ma divulgativo gli argomenti del Museo».

Ai visitatori, stretti fra due grandi schermi, questa esperienza immersiva consente di fare un viaggio nel tempo in cui il passato è ricostruito con immagini di opere d’arte, mappe, stampe e documenti riprodotti fuori scala, e inserti video di forte impatto. A guidare la veloce cavalcata nella storia è una voce narrante, punteggiata da altre voci che invitano a immedesimarsi in alcuni personaggi ebrei, colti in precise circostanze storiche. Ecco, allora, gli scomodi panni di un deportato a Roma dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, o quelli più confortevoli di uno scriba nella Palermo del XII secolo; o ancora, la difficile esistenza di un prestatore di denaro fra Tre e Cinquecento, e la meraviglia di un giovane all’apertura dei ghetti nell’Ottocento, fino alla tragica sorpresa di una bambina espulsa dalla scuola a causa delle leggi razziali del 1938. L’installazione è stata realizzata con un contributo, per la parte relativa alla seconda guerra mondiale, della Regione Emilia-Romagna e dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara.

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