Dalla Palatina al Meis, una testimonianza unica

Camminando per i corridoi ed entrando nelle sale che ospitano la mostra “Il Rinascimento parla ebraico” curata da Giulio Busi e Silvana Greco nel Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara, un elemento balza subito davanti agli occhi: le immagini che decorano le pareti come vere e proprie scenografie. Immagini di personaggi abbigliati con fatture rinascimentali intenti a compiere qualche gesto quotidiano reso per sempre immortale.

In particolare ce ne è una raffigurante due uomini, il primo nell’atto di far scivolare qualcosa nelle mani dell’altro.
Quella illustrazione sulle pareti del Meis, elaborata dallo studio di architetti GTRF, non è altro che un ingrandimento della straordinaria miniatura che impreziosisce un manoscritto, custodito nella teca della stessa sala. Il testo, di proprietà della Biblioteca Palatina di Parma, è il Sefer halakot, il libro di leggi elaborato da Yitzhaq Alfasi e corredato di commenti.
Copiato in Italia settentrionale tra il 1440 e il 1480, esso lascia trapelare almeno due informazioni diverse: da un lato la profonda influenza che il gusto quattrocentesco aveva sui testi sacri ebraici e dall’altra la dimostrazione di un ebraismo vivo e vibrante nel quale si tiene stretta la propria identità a partire dall’Halakhah, il corpus di norme che regola la quotidianità in ambito religioso ed etico. Un vero e proprio simbolo parlante del Rinascimento ebraico raccontato dalla mostra. Torniamo quindi a quell’immagine: cosa rappresenta l’uomo che porge le mani? Chi è e perché lo fa? La risposta la fornisce ancora una volta il manoscritto dentro la teca, aperto nella pagina del trattato Shabbat del Talmud babilonese (bShabbat 1v). Nel passo preso in esame, la domanda riguarda proprio l’osservanza dello Shabbat e i suoi precetti: è permesso durante il riposo sabbatico – quando bisognerebbe astenersi dal lavoro, non trasportare e stare alla larga dai soldi – fare la tzedakkah a un uomo bisognoso sulla soglia della propria casa? La questione è intricata e incrocia insieme due tra le pietre miliari dell’ebraismo: da un lato lo Shabbat, il giorno più importante della settimana, e dall’altro il dovere di ognuno per senso di giustizia di aiutare gli indigenti. Un ambito particolarmente delicato raffigurato in questa straordinaria miniatura nella quale uno dei due protagonisti indossa un berretto di porpora e una veste – chiari segni del suo benessere economico – mentre l’altro accetta con espressione afflitta sullo sfondo di una abitazione d’epoca la sua beneficenza (la normativa indica che è permesso dare cibo al bisognoso, ma non denaro). L’illustrazione accanto ci trasporta nel tipico ambiente urbano rinascimentale: un universo antico fatto di mura di cinta merlate, torri, porte ad arco e bifore.
Il Sefer halakot, qui copiato con una scrittura quadrata e semicorsiva ashkenazita, è stato ideato da Yitzhaq Alfasi. Noto anche con l’acronimo Rif, visse nei primi anni del 1000 in Marocco e in seguito in Spagna, dove divenne Rosh Yeshiva a Lucena. Nella sua opera Rif incluse le decisioni legali di diversi trattati del Talmud, costituendo una sorta di libro delle risposte. Uno strumento utilissimo per la vita ebraica di tutti i giorni dal grande valore pratico che influenzerà poi in maniera inequivocabile i rabbini successivi ma anche gli ebrei alla ricerca di un manuale di regole chiaro e semplificato. Il Meis ha già collaborato in passato con la Biblioteca Palatina per la mostra “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni” e fino a metà luglio, nel percorso “Il Rinascimento parla ebraico”, era presente il Salterio ebraico di Parma. Un documento membranaceo miniato copiato alla fine del XIII secolo in Italia settentrionale, forse proprio in Emilia. Il libretto di piccole dimensioni, oltre a contenere i salmi, si fregia di un commento dell’esegeta Avraham ibn Ezra, grande erudito sefardita autore di opere filosofiche e scientifiche. L’influsso di ibn Ezra in ambito astronomico sarà così rilevante che proprio a lui verrà dedicato il cratere lunare Abenezra. Se il testo può dunque considerarsi di per sé rilevante, a rendere unico il manoscritto della Palatina sono le miniature che lo decorano, creando un vero e proprio coloratissimo mondo di carta: nonostante le piccole dimensioni, l’artista anonimo ha animato le pagine ornando ben 171 carte con animali fantastici, strumenti musicali, leoni, draghi e città turrite. Non solo le miniature emergono con effetti sorprendenti tra le lettere in ebraico (allungandosi e incurvandosi), ma dialogano armoniosamente con il contenuto dei salmi. Una ulteriore conferma che davvero il Rinascimento parlava e parla ancora ebraico.

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