Com’era il Rinascimento ebraico

Ferrara. La «Sacra famiglia e famiglia del Battista» di Andrea Mantegna, datata al 1504-06, la «Nascita della Vergine» di Vittore Carpaccio, del medesimo periodo, la «Disputa di Gesù con i dottori del Tempio» del 1520-25, realizzata da Ludovico Mazzolino. Ma anche la «Guida dei perplessi», manoscritto miniato del 1349 di Mosè Maimònide, filosofo, rabbino, medico, talmudista, giurista spagnolo, uno dei principali pensatori della storia dell’Ebraismo, fino all’Arca sacra lignea in cui sono conservati i rotoli della Torah, di proprietà del Museo Ebraico di Parigi, e il Rotolo della Torah di Biella, tra le pergamene complete della Bibbia ebraica più antiche del mondo. Sono solo alcuni dei capolavori presenti in «Il Rinascimento parla ebraico», dal 12 aprile al Museo nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah (Meis), una mostra che prosegue fino al 15 settembre, ma che di fatto costituisce la seconda sezione del percorso permanente del museo fondato a fine 2017. In quell’occasione, infatti, venne mostrato il primo segmento del nuovo museo, «Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni» di cui l’attuale progetto è dunque il proseguimento temporale (cfr. «Vademecum» allegato al n. 384, mar. ’18). Nell’appuntamento, curato da Giulio Busi e Silvana Greco, si continua con la narrazione, attraverso gli oggetti d’uso e d’arte, della storia dell’Ebraismo nel nostro Paese e allo stesso tempo si propone una riflessione su quanto prodotto da questa minoranza, in Italia da millenni, nel confronto con la produzione artistica coeva. Lungo il percorso espositivo queste due «storie» corrono parallele, da un lato con dipinti, sculture e altri materiali prodotti dalla storia cristiana nelle principali corti cristiane rinascimentali e, dall’altro, con le opere e gli oggetti riferiti al popolo ebraico nei medesimi territori, da Firenze a Ferrara e Mantova, da Venezia a Roma. Intanto, emerge qualche problema relativo ai finanziamenti per il museo statale. Dai vertici del Meis, presieduto da Dario Disegni e diretto da Simonetta Della Seta, è giunto a metà marzo un certo disappunto dopo che il Mibac ha annunciato di voler revocare i fondi, pari a 24,5 milioni di euro, stanziati per completare il quarto e ultimo lotto della struttura museale, composto da quattro nuovi padiglioni in vetro e alluminio, progettati dal gruppo di cui fanno parte Studio Arco di Bologna, Scape e altri. Ma dal ministro Bonisoli arriva la rassicurazione, su quello che parrebbe essere solo un rinvio: «I finanziamenti per l’ultimo lotto del Meis, spiega il titolare del Mibac, non sono andati persi. La decisione di rinviare il bando per l’ultimo lotto è stata presa perché solo ora si stanno aprendo i cantieri per il secondo lotto e sarebbe stato impossibile mettere a gara anche il terzo e aprirlo prima del 2021. In quella data, infatti, scadono i finanziamenti che ci provengono dal Fondo per le Politiche di Sviluppo e Coesione, e dunque i soldi sarebbero stati persi. C’è stato un grave ritardo per la complessità di intervento per i lavori del secondo lotto, ma rassicuro tutti: i soldi ci sono e quando il museo avrà la sostenibilità per l’apertura di un nuovo cantiere saranno spesi».

Stefano Luppi

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