Meis, alla Rizzoli importante presentazione-dibattito sulla mostra “Ebrei, una storia italiana”
di Roberto Zadik
Gli ebrei in Italia hanno una storia millenaria, molto interessante e antica, variegata a seconda delle regioni e dei contesti di appartenenza e culturalmente stimolante, in diversi momenti sofferta e in altri prospera e poco conosciuta al grande pubblico. Ma come raccontarla, comunicarla senza banalizzazioni e semplificazioni molto in voga attualmente? Come sfidare pregiudizi e luoghi comuni di questa fase così cupa che stiamo vivendo? Questi e tanti altri gli interrogativi e le tematiche che importanti relatori hanno approfondito mercoledì 20 giugno presso la Libreria Rizzoli in Galleria Vittorio Emanuele, durante la presentazione-dibattito tenutasi in occasione della mostra “Ebrei una storia italiana. I primi mille anni” che si tiene al Meis, Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah.
All’iniziativa hanno partecipato come relatori, la direttrice del Museo Simonetta Della Seta, il presidente del Meis Dario Di Segni, che nella sua premessa ha messo in risalto il grande esempio “di interazione e di integrazione degli ebrei italiani nella società celebrato da questa mostra che pone delle domande più che fornire delle risposte” e tre ospiti come la direttrice del Teatro Franco Parenti Andreè Ruth Shammah, che ha proposto una collaborazione Milano-Ferrara “come il Mi-To organizziamo un Mi-Fe” , il giornalista televisivo Gad Lerner e il critico televisivo Aldo Grasso.
Il Meis è una realtà importante e Ferrara ha una tradizione ebraica antica e di alto livello dimostrata anche da scrittori come Giorgio Bassani e il suo capolavoro “Il Giardino dei Finzi Contini” e traccia della Maturità di quest’anno. La mostra, come recita il titolo ricostruisce i primi mille anni, dall’arrivo degli ebrei nella Penisola nel 70 a.E.V anno della distruzione di Gerusalemme da parte delle milizie dell’Imperatore Tito, ricordata nel digiuno di Tishabeav fino al Millecento, all’epoca dell’esploratore Beniamino di Toledo. Come ha raccontato la Della Seta nel suo intervento “ci siamo posti varie domande. Come costruire qualcosa di nuovo, partendo da radici molto antiche e raccontarlo alla collettività. Una delle caratteristiche del Meis è che non abbiamo una collezione, ma questo si è rivelato alla fine un vantaggio, poiché ogni volta potevamo cercare gli oggetti migliori a seconda dell’argomento e senza nessun vincolo. E in Italia pieno di oggetti ebraici che spesso non si sa dove siano” e la sfida è dunque reperirli e contestualizzarli a livello storico.
Gli altri relatori si sono focalizzati invece sul significato dell’esposizione e del Museo Ebraico di Ferrara in questa fase attuale. Lerner ha evidenziato alcune caratteristiche e complicazioni nello sforzo di riassumere identità ebraica. Nel suo intervento, ribadendo la sua forte identità ebraica e come egli non abbia mai nascosta la propria appartenenza, il giornalista ha detto che a differenza di altri noi ebrei “partiamo da una cultura basata sulla parola, sulla Legge e già molto difficile da rappresentare in un Museo. L’iniziativa è molto importante per diversi motivi, specialmente in questa fase dove ricordiamo le Leggi Razziali e stiamo vivendo un ritorno di pulsioni xenofobe molto preoccupante. Il Museo è una sentinella e noi ebrei siamo sentinelle dell’epoca che viviamo e avvertiamo prima quello che poi succede ad altri”. Fra le difficoltà dell’esposizione Lerner ha messo in luce il senso di sradicamento e di alienazione tipicamente ebraico e come sia stato difficile “concepire una mostra sull’ebraismo italiano quando noi tutti viviamo il trauma di essere stati sfrattati e il senso di precarietà e di provvisorietà”. Nella sua riflessione, egli ha messo in luce, le responsabilità del fascismo e “la falsa idea che qui sia stato meno peggio che altrove con un gran numero di ebrei italiani morti in quell’epoca”.
Molto interessanti anche gli interventi della Shammah e di Aldo Grasso. Raccontando della sua storia e della sua identità ebraica, la regista e direttrice del Franco Parenti, ha espresso come sia difficile definire un Museo ebraico e cosa sia davvero ebraico e cosa no, in un mondo ebraico che “spesso si focalizza sul contenuto, sull’avere un qualcosa da dire più che sulla forma.”. “Noi ebrei” ha spiegato “abbiamo spesso molte identità dentro di noi e non è facile farle coesistere tutte. Io stessa sono italiana, ebrea, araba visto che vengo da una famiglia siriana e ho scoperto la mia identità molto tardi”. Un Museo e una mostra dunque per scoprire storia, identità, peculiarità degli ebrei nel nostro Paese e che come ha rivelato la Della Seta ha diversi momenti emozionanti e capaci di affascinare il pubblico come ad esempio l’arrivo degli ebrei in Italia e il brano dalla parasha di Lekh Lekhà della Torah, la parte sul Colosseo costruito con i resti del Tempio di Gerusalemme e il bottino del tesoro depredato in Giudea dai Romani e un affresco di Pompei che raffigura il Giudizio Salomonico e rivela “una probabile presenza ebraica locale”. Emozioni, atmosfere e reperti storici rari. Ma qual è la finalità di questo Museo e della mostra e la sua forza comunicativa attualmente? Su questo si è espresso Aldo Grasso nel suo intervento dove ha spiegato efficacemente il pericolo della banalizzazione e della semplificazione che stiamo vivendo nel mondo e anche in Italia, dove “molti credono che ci siano milioni di ebrei nel nostro Paese e ci sono tanti pregiudizi”. “Un museo” ha sottolineato “serve a cambiare la percezione e a fare cultura concretamente”. “Nella nostra rivoluzione digitale” ha proseguito il critico “ci eravamo illusi che ci sarebbe stata più conoscenza ma c’è molta banalizzazione e un pericoloso rifiuto della complessità”. Nel Museo, la Della Seta, ha reso noto che oltre alla storia di mille anni di presenza ebraica italiana ci sarà una video installazione dedicata ai Ghetti che sono stati una parte importante della storia ebraica italiana”. In programma una serie di idee e iniziative, come il 14 marzo verrà aperto uno spazio sul Rinascimento ebraico, mentre riguardo al grande Giorgio Bassani dal 31 ottobre partirà il percorso “Il Giardino che non c’è”.