Il Sud ebraico una storia italiana
S’insinua, soda, cattura e stupisce. È la voce del vento fra le dune del deserto che apre la mostra storica inaugurale del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah a Ferrara: «Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni)). Alla presenza del presidente Mattarella, del ministro Franceschini, delle massime autorità istituzionali, religiose e dell’Ebraismo italiano si è aperto il MEIS. Una visione culturale e politica nata nel 2003 da un’idea di Vittorio Sgarbi, Dario Franceschini e Alain Elkann sta mutando l’ex carcere di Ferrara. La prigione di antifascisti ed ebrei prima del viaggio ai campi di sterminio, diviene un polo di studi ebraici italiani, sotto la presidenza di Dario Disegni che considera un miracolo italiano i lavori degli ultimi due anni. Un luogo interamente finanziato dal Mibact per restituire all’Italia la storia dispersa e perduta. E mentre si rivedono uscire all’aperto, vivi e inquietanti, i fiumi carsici di un nuovo fascismo mai estinto, dire di storia italiana, di «dialogo e incontro con culture diverse» ci pare necessario.
Per la prima volta vengono ricomposti i primi mille anni dei ventidue secoli di ininterrotta permanenza, ben narrati in un raffinato video che consigliamo come anteprima alla esposizione, curato da Giovanni Carrada (autore di Superquark) e Simonetta della Seta, direttrice del MEIS. Mille anni che raccontano come il Sud sia stato l’origine e l’antico cuore culturale dell’ebraismo italiano poi europeo. Con una specificità: Puglia e Basilicata creano i primati letterari e sapienziali più evidenti, sono i luoghi «dove nasce la vera poesia come un banchetto di nozze imbandito durante la creazione», dove si concentrano le correnti internazionali che si mescolano alle profonde radici greche e latine, mentre Lazio, Sicilia, Campania, Calabria, Sardegna aggiungono altri fascini ad un patrimonio complessivo giudicato da storicie archeologi «un tesoro». Tempi che vedono la quasi assoluta insignificanza di storia ebraica nel Nord della penisola. Con immagini fisse e in movimento, vere messe in scena si susseguono nelle cinque sezioni Tra grandi pareti che diventano schermi e mostrano il contesto, i luoghi, le idee, le relazioni, lo spirito del tempo, si incontrano suoni, persone e prospettive di volta in volta diversi.
Accompagnati dalle voci e dai volti dei curatori, Anna Foa, Giancarlo Lacerenza, Daniele Jalla, a questi si aggiungono altri studiosi Dall’archeologo Dan Bahat, che dispiega le originarie forme di una Gerusalemme ancora oggi contesa, amata eppur distrutta, città troppo terrestre quanto celeste, eterno centro di un mondo che la vuole salvare non si sa bene come, a Giulio Busi che ricostruisce i viaggi tra le città italiane di un mercante geografo medievale. Quando i luoghi si misuravano con il tempo necessario a raggiungerli e i giardini di Palermo o la bellezza di Trani erano ben lontani dal prevedere quanto sarebbe avvenuto dopo.
I passi del visitatore scoprono tutto intorno rare epigrafi, manoscritti, monete, lucerne. E frammenti di pergamene, testimoni letterari commentati da Fabrizio Lelli, provenienti dal Cairo, New York, Cambridge, Oxford accanto ai prestiti, tra gli altri, di Bari, Venosa, Matera, Roma, Parma, Napoli, Siracusa. E riproduzioni alquanto impressionanti: si passa sotto l’arco di Tito e si vede a pelle il celebre documento marmoreo del sacco del Tempio di Gerusalemme del 70- il bottino servito, per intenderci, a finanziare il Colosseo -, si toccano gli affreschi delle più belle tombe di Roma o della sepoltura di Venosa – quella celebre delle roselline del Maestro dei fiori ritrovata e fotografata da Colafemmina -, si osservano i mosaici e gli interni della sinagoga di Ostia e di Bova Marina.
Se poi sospinti dal vento del Mediterraneo e dalle voci del deserto si giunge dinanzi al più celebre manoscritto di Otranto del 1072-73, originale, sulle pagine dove il volgare salentino si è intrecciato alla lingua ebraica, sul luogo dove la cultura ebraica si è intessuta della cultura italiana meridionale, scambiandosi idee e pensieri, il visitatore vi resterà stupito. Come assolutamente stupefatti sono rimasti coloro che si son trovati davanti una grande epigrafe di Lavello-Venosa, con la più antica citazione del Talmud babilonese in Europa: «Possibile, gli americani impazziranno qui davanti!» abbiamo sentito dire dai lungimiranti visitatori che evidentemente conoscono il mondo.
Peccato che noi qui in Puglia ancora non ce ne siamo resi conto di quanto sia vasta e preziosa questa storia ebraica che abbiamo ereditato, ora mirabilmente in mostra. E mentre scopriamo in un delicato libro (Sabina Fedeli, Gli occhiali del sentimento. Ida Bonfiglioli: un secolo di storia nella memoria di un’ebrea ferrarese, Giuntina 2017), che il più letterario giardino di Ferrara, quello bassaniano dei Finzi-Contini, non è una finzione, esiste davvero nella sua struggente realtà, con il campo da tennis oramai incolto pur segnato dai cespugli di oleandri, la magnolia gigantesca, le aiuole delle ultime rose d’inverno, i suoi veri proprietari i fratelli Silvia e Andrea Pesaro…, la città estense ritorna sulla scena. Nazionale e internazionale. E questa è tutta storia italiana.