Franceschini: «Mi do sei e mezzo ma ho ancora tanto lavoro da fare»

di STEFANO LOLLI

«UN BEL MESTIERE, lo rimpiangerò». Incalzato da Giovanni Minoli, giornalista famoso per la trasmissione Mixer, Dario Franceschini dismette idealmente i panni di ministro della Cultura. «In certi momenti bisogna avere il coraggio di cambiare – sorride –, e comunque di mezzo ci sono le elezioni…». L’intervista in pubblico si trasforma presto in una radiografia, soprattutto di quanto fatto nel dicastero «voluto, richiesto per scelta, perché l’avevo visto massacrato per troppi anni». E per certi versi, rivoluzionato. Non senza resistenze: «Ma se quando attui riforme non susciti proteste – dice Franceschini –, significa che non stai incidendo». La cosa più complicata è stato «aver cambiato radicalmente i musei, provando a dimostrare che tanto l’Italia è avanti nella tutela dei beni culturali, tanto poteva e doveva crescere nella valorizzazione».

MA LA CURIOSITÀ dell’ex giornalista Rai è anche per il ruolo che Franceschini ha interpretato, e si propone a interpretare ancora, a Ferrara, come capolista del
Pd alla Camera: «Qui l’intervento più significativo è senz’altro il Meis, un museo che sarà importantissimo per i prossimi decenni, non solo per la nostra città.
Una volta completato, sarà anche una straordinaria opera d’arte contemporanea». Sul fronte dei progetti, invece, bisogna «accelerare sul fronte delle infrastrutture, penso al completamento della statale 16 e all’E55, davvero strategico». Curioso anche il rapporto con Vittorio Sgarbi: «È talmente bravo quando parla di opere d’arte che mi sembra un delitto strapparlo, e gettarlo nella politica». Una politica che, per molti versi, al Franceschini ministro (e scrittore)
non piace «quando prende ogni argomento e lo trita, strumentalizzando le paure reali delle persone». Ma la politica, inevitabilmente, è nei suoi pensieri: «Dopo le elezioni, che si vinca o si perda, bisognerà inevitabilmente lavorare per ricomporre il centrosinistra», risponde a Minoli che gli chiede se intravvede, in futuro, un nuovo Ulivo. «Ulivo non so, di sicuro si potevano evitare le scissioni, credo che la lista di Grasso poteva essere nostra alleata, su un programma minimo». E allora meglio votare Pd turandosi il naso? «Quella è una brutta espressione, ma se uno ha necessità e responsabilità provveda». Suona la campanella, e come alla fine della lezione scatta il momento della pagella: «Sinceramente, che voto si dà?», chiede Minoli. «Sei e mezzo…», saluta Franceschini.

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